Detta localmente anche “rosmana”, la mela rosa romana è una mela di forma piatta, del peso medio di circa 180 gr, con la buccia di colore verde-giallo con un sovracolore rosa-rosso carminio, talvolta striato, sulla metà della superficie. Ha polpa consistente, leggermente acidula, molto fine, e un profumo tipico di rosa, un aroma marcato che aumenta con la conservazione in fruttaio, dove si conserva inoltre fino a primavera inoltrata.
La rosa romana è coltivata nell’Appennino bolognese probabilmente da più di duemila anni, dimostrando una grande capacità di resilienza e un legame stretto con il territorio. Fino agli anni ’50 del secolo scorso era ancora la varietà più coltivata nell’Appennino bolognese, come dimostrano i censimenti di Breviglieri del 1929 e del 1959. Poi la melicoltura si è spostata in pianura e la frutticoltura di montagna è stata man mano abbandonata.
Questa cultivar si adatta infatti particolarmente agli ambienti di montagna dove assume una colorazione più attraente e tipica e le migliori caratteristiche organolettiche. Negli ambienti di pianura rimane invece di colore verde, poco profumata, con minore sostanza secca e scarso sapore.
Recentemente è stata iscritta al Repertorio regionale delle varietà a rischio di estinzione e, grazie a un progetto di filiera si sta cercando di reintrodurla nelle zone di origine.
E’ una varietà triploide e quindi autosterile, che necessita di impollinatori. Nel progetto di ricerca sono stati individuate le varietà compatibili. Tra queste ce ne sono di autoctone che spesso si trovavano vicino alle rose romane e che ora sono utilizzate nei nuovi impianti come impollinatori. Si tratta della lavina, della musabò, della cavicchio, della rugginosa, della durello, tra le principali. Nei nuovi impianti si utilizzano portinnesti diversi a seconda della disponibilità di acqua.
La mela rosa romana sembra fosse coltivata nell’Appennino già all’epoca degli Etruschi e forse anche prima. Ulisse Aldrovandi la illustra e la descrive alla fine del ‘500, ipotizzando che fosse giunta dall’Epiro, quindi forse grazie agli Etruschi o ad altre popolazioni della Grecia. Una recente ricerca realizzata dall’Università di Bologna evidenzia come dal punto di vista genetico sia molto vicina alle poche varietà di origine romana sopravvissute fino ai giorni nostri. Molti degli alberi secolari ancora presenti sono vicino a siti archeologici etruschi e romani: Burzanella, Monteacuto Ragazza, Vigo, Marzabotto. A volte presso pievi, castelli..
In quasi tutte le case coloniche, e anche nei centri abitati, sono presenti ancora alberi secolari di questa mela. Il consumo quindi sia fresco che trasformato è molto radicato localmente.
Sono state costituite due Associazioni per il recupero e la reintroduzione di questa mela nei territori di origine e per la salvaguardia degli alberi secolari ancora presenti. Le informazioni relative alla raccolta, alla conservazione e alla trasformazione sono raccolte presso gli agricoltori più anziani ma anche dagli abitanti dei borghi che partecipano alle attività di promozione e sono generalmente soci delle due associazioni. I rappresentanti delle due associazioni sono partner del Progetto GOI di filiera della rosa romana insieme ai frutticoltori locali, agli enti di ricerca (Università di Bologna) e agli enti territoriali (GAL).
La mela rosa romana si raccoglie a metà ottobre circa. Si consuma da gennaio, quando l’amido si è trasformato in zucchero e i profumi e gli aromi cominciano a diventare più intensi.
Si conserva infatti a lungo soprattutto in fruttaio, in cassette, ma in particolare nelle soffitte, distese sui pavimenti di legno.
Anche se oggi viene rilanciata come prodotto fresco, tradizionalmente era consumata prevalentemente cotta. Molto adatta a fare torte e in generale per la pasticceria. Attualmente si producono anche succhi, e per il contenuto zuccherino contenuto, composte, aceto, distillati, essiccati..
Attualmente è disponibile solo in quantità limitate. Si sta promuovendo la realizzazione di nuovi impianti al fine di limitare la produzione ai consumatori e alla ristorazione locale, che la impiega in vari modi: come ripieni di primi piatti, contorno di carni, dolci, gelati.
E’ ricca di polifenoli, soprattutto nella buccia, in particolare di naringerina, quercitina, procianidina, floretina. Le prime due sostanze hanno un azione antivirale piuttosto conosciuta. Si usa anche nella cosmesi e nella fitofarmacia.
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