Un tempo la razza ovina karakachan era diffusa in tutta la Bulgaria: si stima che agli inizi del XX secolo i capi allevati fossero 500.000, ma alla fine degli anni Cinquanta il numero si è ridotto a 160.000 e oggi ne sopravvivono solo 400.
Si tratta di una pecora di piccola taglia (alta circa 60 centimetri al garrese), con la coda corta e sottile. Il pelo è folto e lungo (raggiunge i 40 centimetri) e il colore cambia con l’età dell’animale: prima nero, poi marrone e quasi grigio negli animali più vecchi. La sua riscoperta risale al 1992, quando Sider e Atila Sedefchev, rappresentanti di Semperviva, l’organizzazione bulgara che si occupa della salvaguardia delle specie autoctone a rischio di estinzione, hanno avviato un progetto per il recupero dei cani di razza karakachan. Tra i più antichi in Europa, i cani karakachan erano utilizzati per sorvegliare le greggi – principalmente di pecore – e proteggerle dai lupi e dagli orsi delle montagne. Questo lavoro di ricerca ha permesso di scoprire l’esistenza anche di una razza ovina e di una razza equina karakachan, cavalli da tiro usati per trasportare merci e bagagli su sentieri di montagna stretti e scoscesi.
Queste tre razze prendono il nome dai Karakachan, una popolazione nomade dell’area balcanica dedita all’allevamento e discendente dalle comunità di allevatori della Tracia residenti sulle alte montagne bulgare.
La pecora karakachan produce, ogni stagione, circa 50 o 60 litri di un latte ricco di grasso (dal 6,5 all’8%) e di ottima qualità, dal quale ogni giorno si ricavano il sirene, un formaggio in salamoia (simile alla feta greca) e uno straordinario yogurt, latticino che ebbe probabilmente origine in quest’area geografica.
Le pecore sono munte a mano due volte al giorno e il latte è filtrato immediatamente con un telo; quindi si aggiunge caglio di vitello o di agnello e si lascia riposare per circa due ore e mezza in un recipiente coperto, per agevolare la coagulazione. Con un coltello si taglia grossolanamente la cagliata e la si lascia riposare per un’altra mezz’ora. Il formaggio fresco è quindi avvolto in un tessuto speciale e poi collocato in un recipiente costruito con il legno di un albero autoctono dei Balcani, il pino macedone. Questo barilotto è chiuso con un coperchio sul quale viene collocato un peso, solitamente una pietra. Il formaggio asciuga da quattro a otto ore, secondo il clima. Quando è pronto, si taglia in parallelepipedi di circa 12 centimetri per lato, che sono salati in superficie e sistemati in bidoni chiusi da un coperchio, affinché si formi una salamoia. Nei giorni seguenti, la salamoia deve essere rabboccata con siero misto a sale. Il metodo per ottenere il tradizionale yogurt bulgaro (kiselo mleko) è invece molto semplice: è sufficiente bollire il latte di pecora karakachan, lasciarlo raffreddare fino a temperatura ambiente e aggiungere il Lactobacillus bulgaricus.
I produttori della fattoria hanno cercato i capi di karakachan per oltre 10 anni, spingendosi nei più remoti borghi di montagna e scovando comunità di pastori che avevano tenuto le loro greggi separate dalle altre. Ora l’obiettivo è rivitalizzare l’allevamento di questa razza rendendolo economicamente sostenibile e valorizzando i prodotti eccellenti che si otten- gono dal suo latte: il formaggio bianco e lo yogurt. Oggi in Bulgaria, nella maggior parte di negozi e ristoranti, si trovano latticini e formaggi industriali mentre i prodotti artigianali non sono valorizzati. È necessario svolgere un lavoro di comunicazione e di educazione al gusto. Inoltre, la Fondazione Slow Food, assieme all’associazione Sempreviva, ha aiutato i produttori a realizzare un nuovo caseificio – che era stato distrutto da un incendio nel 2012 – e un nuovo locale di stagionatura.
Area di produzione
Vlahi, Monti Pirin, provincia di Blagoevgrad, Bulgaria sudoccidentale
Atila Sedefchev
Sider Sedefchev
Elena Tsingarska
Daniela Chakarova
Sider Sedefchev
tel. +359 888788121
semperviva@bluelink.net
Atila Sedefchev
tel. +359 886839137
bbps.semperviva@gmail.com