Il gosorisul è il tradizionale distillato di Jeju, una grande isola vulcanica situata al largo delle coste meridionali della Corea del Sud. Il nome di questo distillato è la combinazione delle parole gosori, che nella lingua jeju parlata sull’isola indica il dispositivo per la distillazione, e sul, un lemma spesso usato come suffisso, che in coreano significa “alcool”. Soju, invece, è il termine usato per i distillati. Le origini del soju risalgono al XIII secolo, quando i mongoli della dinastia Yuan portarono in Corea l’arte della distillazione appresa in Medio Oriente durante le invasioni. Alcune tra le prime distillerie furono fondate nelle città di Kaesong (all’estremo Sud di quella che oggi è la Corea del Nord), e Andong (nella Corea orientale), ma in Corea anche l’isola di Jeju gode di notorietà per la produzione di distillati. La produzione del gosorisul era un compito tradizionalmente riservato alle donne, che lo preparavano in casa.
Nella Corea continentale il soju è generalmente ottenuto dal riso, ma grazie ai suoi suoli permeabili (composti principalmente di pietra nera vulcanica), e a una relativa scarsità di acqua dolce, Jeju non è adatta per la coltivazione umida delle risaie. L’alimentazione tradizionale dell’isola è infatti a base di orzo, diversi tipi di miglio (tra cui la Setaria italica), grano, sorgo, grano saraceno e riso di altipiano – e il gosorisul è tipicamente a base di orzo, miglio e sorgo. La produzione del distillato inizia con la preparazione dell’agente necessario ad attivare la fermentazione, il nuruk: l’orzo o il grano vengono macinati con il maesdol, una macina tradizionale, e la farina ottenuta viene impastata con acqua tiepida fino a raggiungere una massa priva di grumi; l’impasto viene quindi suddiviso in panetti e pressato in uno stampo (per il quale può fungere bene anche il cerchio di un setaccio). I dischi di nuruk vengono a questo punto disposti l’uno sull’altro, coperti con un panno di lino o uno strato di paglia e conservati in un luogo tiepido perché inizino a fermentare. Durante il processo di fermentazione, il nuruk viene colonizzato da una molteplicità di muffe, lieviti e batteri; trascorsi circa 20 giorni, viene infine fatto seccare al sole. Il nuruk viene generalmente prodotto in estate, dato che per la sua fermentazione ed essiccamento sono necessarie temperature calde e giornate secche e soleggiate; in seguito, viene conservato all’interno di sacchi oppure negli hangari (vasi tradizionali in terracotta). Il nuruk si differenzia dal più noto koji giapponese in quanto nel primo l’inoculazione dei microrganismi avviene in modo naturale e spontaneo, oltre che per il fatto di contenere sia lieviti che le muffe; nella fermentazione del sakè invece, il lievito e il koji (il fungo filamentoso Aspergillus oryzae), hanno due origini distinte e vengono aggiunti in due diversi stadi del processo.
La fermentazione dell’alcool che sarà poi distillato per produrre il gosoriul, può avvenire in qualsiasi momento dell’anno, ad eccezione dei mesi di luglio e agosto; in genere si prediligono comunque i mesi più freddi. L’opzione migliore è usare i chicchi appena raccolti dopo il Sanggang, il giorno che segna la prima gelata, e che cade intorno al 23 ottobre, alla fine del nono mese del calendario lunare coreano. I chicchi di miglio, o di qualsiasi altro cereale si utilizzi, si tengono a bagno in acqua per 8 ore prima della macinatura e in seguito vengono cotti al vapore nel siru (un recipiente tradizionale in terracotta), per preparare i sultteok, tortine a base di farina e vino di riso; in alcuni casi, ad essere macinati e poi cotti al vapore sono invece chicchi precedentemente essiccati. Si possono usare grani di tipo glutinoso o meno; generalmente, però, si prediligono quelli non glutinosi per evitare che si attacchino al siru durante la cottura. Una volta che si è fatto raffreddare il sultteok, si aggiungono poco a poco acqua e nuruk macinato e s’impasta il tutto a mano fino a ottenere una consistenza omogenea e priva di grumi; la massa viene poi posta in un largo recipiente chiamato suldok. Dopo l’aggiunta di un’ulteriore, abbondante quantità d’acqua, il suldok viene sigillato e lasciato in un angolo (in cucina o in altre stanze della casa) per dieci giorni, durante i quali la poltiglia fermenta. A volte, soprattutto se la fermentazione ha luogo in inverno, lo strato superiore che affiora nel suldok viene destinato alla produzione di cheongju (nome generico che si riferisce agli aloclici chiari ottenuti da cereali), mentre il resto viene lasciato a fermentare fino alla primavera; una volta prelevato il cheongju, il suldeok viene nuovamente colmato aggiungendo nuruk e sultteok per una fermentazione alcolica più robusta.
A questo punto il contenuto del suldeok è pronto per la distillazione da cui si ottiene il gosorisul. Questo procedimento avviene in uno speciale recipiente da distillazione, il cui nome in lingua jeju è gosori – sojugori in coreano standard. La poltiglia viene trasferita anzitutto dal suldok nel sot, un calderone messo a scaldare sul fuoco. Il gosori viene posizionato sopra il sot e si sigillano tutti gli eventuali spazi tra i due recipienti per evitare fuoriuscite di vapore. La parte superiore del gosori è costituita da una ciotola che viene riempita di acqua fredda; quando il vapore dal sot raggiunge il gosori ed entra in contatto con il lato inferiore della ciotola, più freddo, si condensa in gocce di distillato, che attraverso un beccuccio vanno a depositarsi in un recipiente di raccolta. Il gosorisul è un distillato chiaro e incolore con una gradazione alcolica superiore al 40% in volume. Grazie al suo elevato contenuto alcolico, se ben sigillato e tenuto in un luogo fresco e buio, il gosorisul può conservarsi per un tempo quasi illimitato. Il sapore del gosorisul si differenzia da quello del soju di riso della Corea continentale: a un’iniziale sensazione di bruciore al palato ne segue una morbida, accompagnata da note ricche e fruttate; il sapore si dissipa velocemente, lasciando la bocca pulita, pronta per un altro sorso. Il gosorisul prodotto secondo il metodo artigianale descritto sopra, molto apprezzato per l’elevata qualità e la buona bevibilità che lo contraddistinguono, si consuma tipicamente in occasione del poje (una festa locale), e della jesa (una cerimonia che si celebra in onore degli antenati), come anche per altre giornate di feste, ricorrenze e cerimonie.
Oggi la produzione artigianale del gosorisul è seriamente a rischio. Ciò si deve in parte a un fatto storico: durante l’occupazione giapponese nel periodo 1910-1945, la produzione degli alcolici coreani tradizionali fu bandita e il divieto permase in vigore fino al 1945. In seguito, il mercato coreano fu invaso da liquori e alcolici industriali di tipo occidentale e d’importazione, e con la penuria di riso degli anni ’60, la distillazione domestica e l’uso di cereali per la produzione di alcolici subirono una nuova messa al bando divenendo illegali. Molte delle tradizionali anfore da distillazione in ceramica furono confiscate e distrutte, e in questo modo andarono persi i saperi e le tecniche fondamentali per la distillazione artigianale che non fu possibile trasmettere alle giovani generazioni. Fortunatamente, a partire dalla fine degli anni ‘80 è sbocciato un rinnovato interesse nei confronti dei distillati tradizionali coreani, insieme al riconoscimento della loro elevata qualità e del loro valore. Ciò nonostante, il mercato è ancora popolato dalle versioni industriali del gosorisul, prodotte con l’ipguk (koji) giapponese ottenuto dal riso, al posto del nuruk locale; la produzione domestica di gosorisul per il consumo familiare, a Jeju, è oggi praticamente estinta. Sull’isola, rimane ormai solo una donna che continua a produrre artigianalmente gosorisul tradizionale destinato alla vendita, lavorando all’esterno della sua abitazione – un doljip, la tradizionale casa in pietra tipica di Jeju – e fortunatamente è riuscita a trasmettere al figlio l’interesse e la passione per la distillazione. La produzione annua totale di gosorisul artigianale è stimata al di sotto dei 6.000 litri.
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