Quimy
L’amaranto è una delle più antiche specie vegetali coltivate dall’uomo. È stato addomesticato in Mesoamerica circa 6000-8000 anni fa (in precedenza veniva raccolto allo stato brado). Era una specie di particolare rilievo per gli aztechi, che l’hanno coltivata su larga scala. Dopo la colonizzazione delle Americhe la produzione di amaranto è calata drasticamente. Oggi prosegue soltanto su scala molto piccola. Moltissime delle 60-70 specie del genus Amaranthus vengono coltivate in tutto il mondo per ricavarne foglie commestibili e/o semi. Le specie più diffuse sono l’Amaranthus cruentus, l’Amaranthus hypochondriacus e l’Amaranthus caudatus. Quest’ultimo è originario delle Ande, dove la sua particolare resistenza alle siccità e al freddo ne hanno fatto per millenni un’importante fonte di cibo.
Tra le popolazioni di lingua Quechua l’amaranto è noto in generale come kiwicha, ma nel dipartimento di Chuquisaca (Bolivia meridionale) è detto quimy. In Bolivia l’amaranto cresce nelle vallate a una quota compresa tra 1800 e 2800 metri sopra il livello del mare, a temperature che si aggirano tra -15° e 19°. Il dipartimento di Chuquisaca è il principale produttore nazionale di amaranto, ma molte delle varietà locali non sono originarie della zona. Tra le più diffuse, perché più produttive delle controparti locali, ci sono le tipologie peruviane Cotahuasi e Oscar Blanco (una varietà di Amaranthus hypochondriacus). Al tempo stesso, però, i coltivatori di Sopachuy, El Villar e Alcalá (comuni del Chuquisaca centrale) consentono alle varietà locali di crescere in modo spontaneo in bordura dei loro campi. Tra queste varietà locali si possono citare la Tomina (che è un altro nome di Alcalá) e la Pucatá (che prende il nome da una comunità contadina della zona). Come l’amaranto selvatico, anche quelle varietà producono semi neri e rosa in aggiunta ai semi di colore pallido più tipici delle varietà commerciali.
Le piante con i semi neri sono le più rare. Tradizionalmente si raccolgono solo per il consumo personale. L’amaranto locale raggiunge un’altezza di 1,6 metri. Le infiorescenze raggiungono una lunghezza di 30-40 centimetri. Ciascun seme misura meno di un millimetro di diametro. I coltivatori del Chuquisaca tendono a seminare 3 chilogrammi di semi per ettaro. A maturazione le infiorescenze vengono raccolte in sacchi di juta e trasferite sotto tende di tela, dove asciugano per 3-4 giorni. Poi vengono battuti con bastoncini di legno per separare la granella. Conservato in modo corretto, l’amaranto si mantiene anche per tre anni. Nel Chuquisaca l’amaranto trova impiego in un’ampia gamma di piatti e ricette, tra cui l’api (una bevanda a base di amaranto tostato, zucchero e latte caldo), pane, minestre e stufati (come la masa morra), senza dimenticare una salsa cremosa e speziata detta semplicemente “picante”, servita per accompagnare carne e patate.
L’amaranto nero è meno produttivo delle varietà Cotahuasi e Oscar Blanco (600 chilogrammi per ettaro contro 800-1000 chilogrammi e oltre), ma esige meno acqua e meno nutrienti e resiste meglio alle malattie, ai parassiti e alla siccità, oltre a risultare più facile da raccogliere. È ricco di ferro, calcio, lisina e proteine. In anni più recenti i produttori di El Villar, Alcalá e Sopachuy hanno dedicato un’attenzione sempre maggiore alla coltivazione e alla promozione di varietà indigene di amaranto. Oggi quei produttori, che si dividono pochi ettari di terreno, sono 200-300. Il loro lavoro è determinante per evitare che l’amaranto locale venga totalmente rimpiazzato da varietà meno pregiate sul piano nutrizionale e più vulnerabili alle fluttuazioni legate al cambiamento climatico.
Torna all'archivio >