A Las Capucas, una piccola comunità rurale nelle montagne della municipalità di San Pedro de Copán, la maggior parte delle famiglie è legata alla produzione di caffè. Francisco Villeda, detto Pancho, è tra i produttori soci della Cooperativa cafetalera Las Capucas e parte della Comunità Slow Food Las Capucas Sustainable Coffee Village. La comunità è una delle prime nate fra quelle legate al progetto della Coffee Coalition.
L’obiettivo della comunità è di promuovere i principi agroecologici della produzione del caffè, in linea con i principi di Slow Food.
L’Honduras, come molti altri paesi produttori di caffè, è intensamente interessata da eventi climatici estremi sempre più frequenti, collegati ai cambiamenti climatici.
Un’unica possibile risposta per contrastarli e continuare a produrre caffè è quella di intraprendere pratiche di coltivazione che non danneggino i suoli, che siano quanto più circolari possibile e che cerchino forme di adattamento ai nuovi contesti climatici. Questo e la volontà di raccontare al resto del mondo il lavoro dei produttori di Las Capucas hanno guidato l’adesione alla Coffee Coalition e la creazione della Comunità Slow Food.
Una vita dedicata al caffè
Pancho lavora da sempre nel caffè, pratica che ha appreso dai suoi nonni. Non solo si occupa di gestire la piantagione, ma è uno dei soci di Umani Area Honduras, la società proprietaria della finca Rio Colorado. La comunità Slow Food Las Capucas Sustainable Coffee Village è nata su impulso di Umami area Sa de Cv insieme ad alcuni membri della Cooperativa Las Capucas. È stato chiesto a Pancho di gestire la finca per il suo impegno ventennale nella produzione di caffè “di qualità”, ovvero quel caffè che grazie alla particolare attenzione alla coltivazione e ai processi che subisce dopo il raccolto riesce a raggiungere un grado qualitativo molto elevato (generalmente misurato con la metodologia standardizzata dalla Specialty Coffee Association al livello globale).
È stato chiesto a Pancho di gestire la finca per il suo impegno ventennale nella produzione di caffè “di qualità”, ovvero quel caffè che grazie alla particolare attenzione alla coltivazione e ai processi che subisce dopo il raccolto riesce a raggiungere un grado qualitativo molto elevato (generalmente misurato con la metodologia standardizzata dalla Specialty Coffee Association al livello globale).
Oltre alla Finca Rio Colorado, Pancho ha anche altri due piccoli appezzamenti di sua unica proprietà.
Nella sua casa, dove ancora oggi processa e secca quel caffè che proviene da quei due appezzamenti, conserva ancora lo scheletro della sua prima piccola serra per l’essiccazione.
“Per ricordare da dove sono partito”, spiega.
“Pensavano tutti che fossi pazzo, quando ho iniziato” ha ammesso Pancho, con il sorriso.
“Adesso però condivido tutto quello che ho appreso in questi anni. Non voglio tenermi per me le conoscenze acquisite, ma le voglio trasmettere a tutti quelli che hanno voglia di intraprendere la stessa strada”.
E a fronte dei cambiamenti climatici che stanno scombinando i periodi di fioritura e fruttificazione della pianta, nonchè aumentando gli eventi climatici estremi e la diffusione delle patologie, la via più rispettosa dell’ambiente e della qualità del prodotto sembra essere l’unica via percorribile.
Gli appezzamenti di Pancho, sia quelli che gestisce come Umami area, che i suoi più piccoli personali, sono delle vere e proprie foreste all’apparenza, che nascondono un intricato sistema biodiverso di alberi da frutto, da legna, piante edibili e fauna.
Tanti sono gli elementi che portano ad una piantagione sana che non necessita eccessivi input esterni: un giusto distanziamento fra le piante, una corretta ombreggiatura con altri alberi, un suolo fertile grazie al solo utilizzo di compost e fertilizzanti organici, giusto per citarne alcuni.
Le attività di miglioramento di gestione del suolo e delle piante di Pancho sono state di esempio per molti altri produttori di caffè che hanno seguito la stessa strada e cominciato a produrre con pratiche biologiche e maggiore attenzione ai processi di spolpatura ed essiccazione. A giudicare dalla sua famiglia, sembra che la passione di Pancho per il caffè abbia influenzato anche le figlie. Ne ha quattro figlie e 3 attualmente lavorano nel mondo del caffè. Due di loro sono assaggiatrici professioniste, tra cui Delmi, la più giovane, che a soli 20 anni è già da un anno cupper alla Cooperativa cafetalera Las Capucas).
“L’attenzione di mio padre alla qualità – racconta Delmi Villeda, che incontriamo nel laboratorio di assaggio-, è quello che mi ha spinto ad interessarmi all’assaggio professionale. L’esperienza maturata in campo sin da quando sono piccola mi aiuta ogni giorno nel mio lavoro anche per suggerire ai produttori delle possibili soluzioni quando il loro caffè presenta dei problemi organolettici. Quello della produzione del caffè è un campo in cui il lavoro delle donne è spesso dietro le quinte e non riconosciuto, nonostante sia fondamentalmente un’attività che coinvolge le intere famiglie. Ma forse qualcosa sta cambiando.”
Una giornata in finca per la lavorazione del caffè
Passiamo insieme il pomeriggio alla Finca Rio Colorado durante una visita sul campo del team della Slow Food Coffee Coalition.
“Domani cosa farai, Pancho?” gli chiedo, quando si siede per riposare e parlare con noi.
“Quello che ho fatto oggi! Il periodo del raccolto è molto intenso. La natura non aspetta”.
Da fine ottobre a fine aprile, ogni giorno, Pancho segue più o meno la stessa routine in finca, dove il caffè non è l’unica coltura presente: ci sono infatti anche cacao, ananas, platani, banani, avocado, agrumi ed altre piante da frutto e da legna, che hanno in diversa misura bisogno di attenzioni. In particolare, per la produzione del caffè, Pancho gestisce direttamente le attività e programma il lavoro. Tra le prime cose fare, c’è l’arrivare in tempo all’impianto del beneficio humedo della Cooperativa Las Capucas con i sacchi di caffè da lavare: se arriva troppo tardi, in questo periodo, rischia di aspettare delle ore per il suo turno.
Il lavaggio del caffè è quell’operazione, nel caso del caffè cosiddetto “lavato”, che serve per eliminare la mucillagine che ricopre i chicchi di caffè.
Questo è lo step successivo alla spolpatura e alla fermentazione, che dura dalle 12 alle 24 ore.
Una volta terminate le operazioni in Cooperativa, torna in finca per l’operazione di spolpatura del caffè appena raccolto. In questa fase, dal caffè in frutto, si passa per una spolpatrice meccanica che elimina la parte di polpa, lasciando solo i chicchi ricoperti di mucillagine. Gli stessi chicchi che il giorno dopo, terminata la fermentazione, verrano portati alla cooperativa per essere lavati e riportati in finca per l’asciugatura.
Un’altra attività della mattinata, infatti, è la stesura del caffè lavato per una prima asciugatura al sole sul patio, seguita da una seconda fase di asciugatura nei “letti africani” al riparo dalle piogge equatoriali. Il pomeriggio solitamente è dedicato a “menear”, ovvero girare il caffè che sta asciugando con un rastrello, in modo che tutti i grani siano egualmente a contatto con l’aria e non si creino muffe. Nella struttura dove avviene l’asciugatura c’è un profumo che non ha nulla a che vedere con quello classico del caffè tostato al quale siamo abituati, ricorda piuttosto il burro di cacao.
Dopo diversi giorni sui letti africani, il caffè è pronto per essere trasferito nei sacchi e trasportato a San Rosa de Copán dove entra nel “beneficio seco”, l’impianto dove il caffè essiccato è privato della parte esterna (endocarpo o pergamino) e messo nei sacchi per essere venduto come caffè verde. Da fine ottobre a fine aprile ogni giorno segue più o meno questo percorso.
Il suo collaboratore, anche lui chiamato Pancho, dorme nelle strutture della finca insieme agli altri sette lavoratori che vengono assunti stagionalmente per raccogliere in modo scalare le piante di caffè.
Il caffè, infatti, non è un pianta che si può raccogliere tutta nello stesso momento, ma è più simile ad un albero da frutto: se si vuole produrre un caffè di alta qualità, vanno raccolti solo i frutti al perfetto grado di maturazione.
La Slow Food Coffee Coalition e il Sistema di garanzia partecipata
È un’ottima opportunità far parte della Slow Food Coffee Coalition, perché possiamo davvero raccontare la nostra esperienza sul lavoro che svolgiamo nel nostro Paese, e sono davvero felice di poterla esprimere proprio come la impariamo sul campo.”
Oltre alla Finca Rio Colorado, il 2023 vedrà molti altri produttori della Comunità slow Food Las Capucas Sustainable Coffee Village partecipare alla Coffee Coalition e vendere il loro caffè all’interno della rete.
La Coffee Coalition si allarga, ed il gruppo di torrefattori interessati ad acquistare il caffè buono, pulito e giusto tramite un contatto diretto con i produttori sono sempre di più. Il metodo di certificazione partecipata (Participatory Guarantee System) adottato nella Coffee Coalition è fondamentale per eliminare sempre di più il knowledge gap fra i paesi di produzione e quelli di consumo e per fornire ai produttori un’alternativa alle certificazioni di terza parte. In alcuni casi, il torrefattore può anche essere parte attiva del processo di garanzia come nel caso di Sandro Bonacchi e B.farm.
Creare accordi duraturi fra produttori e torrefattori
L’esempio di B.farm e Umami area
Sandro Bonacchi di B.farm, con la sua microtorrefazione B.house, è socio di Umani area Honduras e dunque co-proprietario della finca Rio Colorado. Anche lui è stato fra i promotori della Comunità Las Capucas Sustainable Coffee Village, nonché uno dei primi firmatari della Coffee Coalition.
Come si chiama la tua torrefazione?
La microtorrefazione della casa madre b.farm è Bhouse e si trova a Quarrata in provincia di Pistoia, in Toscana.
Qual è la filosofia della tua torrefazione?
B.farm è un’azienda che opera su tutti gli anelli della filiera e ha un’idea del caffè circolare: fare un caffè buono per tutti, dal produttore al consumatore, facendo incontrare tutti gli attori, scambiando conoscenze e valore.
Lavoriamo e supportiamo progetti innovativi e di qualità sul caffè. Forniamo anche formazione e know-how sul verde, sulla tostatura, sui prodotti finiti.
Ci adoperiamo in modo circolare su tutto quella che è la filiera di qualità del caffè: dalla qualità agricola, alle competenze e conoscenze per fare in modo che questa venga adeguatamente condivisa e supportata.
Con che criterio decidi il caffè che vuoi comprare?
Al di là del caffè che approvvigioniamo dalla finca di cui siamo soci (la Finca Rio Colorado), l’approccio è quello del direct trading, ovvero di conoscere quanto più possibile il produttore e il suo lavoro e creare poi un sodalizio per garantirgli che il prodotto verrà comprato non solo per quell’anno, ma che si crei un rapporto duraturo. L’idea è quella di lavorare fianco a fianco per ottenere un prodotto di qualità, nel rispetto delle persone e dell’ambiente, perseguire uno sviluppo agricolo costante della qualità.
Qual è la tua visione come torrefattore? Perché hai deciso di intraprendere questa strada?
Il torrefattore è parte essenziale del processo ma non è più l’attore protagonista. Come torrefattori non vogliamo prendere la scena producendo prodotti indifferenziati, ma essere gli chef che sanno lavorare bene varie materie prime di qualità per offrire una gamma di prodotti completa, che abbiano flavori diversi, per accontentare i gusti di tutti. Il percorso è complesso e inizia con la materia prima agricola e prosegue nelle due cucine: la torrefazione e l’estrazione in tazza. Il brand non è più la torrefazione, ma il singolo prodotto, con le sue caratteristiche organolettiche specifiche e la sua “ricetta”.
Perché hai deciso di aderire alla SFCC?
Ho deciso di aderire alla Slow Food Coffee Coalition da una parte per i criteri con cui Slow Food valuta la materia prima, ovvero la visione di buono, pulito e giusto. Dall’altro, per la potenza di Slow Food di essere l’anello di congiunzione e da amplificatore per il cambiamento della filiera. Un partner perfetto per quello che facciamo come B.farm, ma farlo insieme è più potente. Con Pancho e Finca Rio Colorato siamo membri della Slow Food Coffee Coalition sin dall’inizio.
Qual è uno dei risultati principali raggiunti grazie alla SFCC, secondo te?
Il caffè “Finca Rio Colorado” e il microlotto “Doña Elda” (prodotto dalla moglie di Pancho, Elda, da cui il nome) sono stati due dei primi cinque caffè venduti con il logo Coffee Coalition, ottenuto per la prima volta nella storia di Slow Food tramite un processo di garanzia partecipata (Participatory Guarantee System). Il lavoro di queste persone è più conosciuto e valorizzato.
La PGS nata in seno alla Coffee Coalition è una certificazione “dal basso”, basata sulla fiducia e sulla trasparenza, che coinvolge in primis i produttori, ma anche tutti gli altri stakeholders interessati a garantire la qualità organolettica, ambientale e sociale del prodotto attraverso l’organizzazione da parte della comunità di visite in campo ai produttori e scambio di conoscenze.
Come ti possono trovare i nostri lettori?
Online e offline! b.house infatti è sia uno shop virtuale, ma soprattutto un luogo fisico dove fare esperienza: vedere la tostatura dal vivo, fare formazione sull’assaggio e sui metodi di estrazione, bere un buon caffè, acquistarlo. Un format pensato come una vera coffee experience. Per tutti i nostri amici toscani, ci vediamo il 23 febbraio a Pistoia nella sede di Slow Food Pistoia presso “Il Funaro” alle 20.30 dove presenteremo e parleremo della Slow Food Coffee Coalition!
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