Perché una madre dovrebbe rischiare la vita propria e quella dei propri figli piccoli per intraprendere un viaggio incerto e pericoloso per raggiungere l’Europa? Quale forza può spingere a un atto tanto estremo quanto rischioso se non la più nera delle disperazioni?
Personalmente credo che queste siano le prime domande che è necessario porsi quando si affronta la discussione, spesso squallida, su come gestire (neanche parlassimo di merci) i flussi migratori che bussano via mare e via terra alle porte della nostra Europa. Preso atto poi che contro la disperazione non ci sono muri o leggi restrittive che tengano, forse varrebbe la pena interrogarsi su che cosa generi questa disperazione e su quale possa essere il nostro ruolo di cittadini nel cercare di alleviarla. E allora ci renderemmo conto che in molte parti del continente africano e del medio oriente i conflitti e l’insicurezza stanno minando la resilienza di intere comunità. La fame negli ultimi mesi sta nuovamente crescendo nelle regioni dell’Africa centrale, specialmente intorno al Lago Ciad, in Sud Sudan e nel corno d’Africa. Attenzione però, parliamo di conflitti e insicurezza che spesso è generata dalle azioni indifferenti o addirittura complici delle grandi potenze del mondo, spesso guidate da una fame di risorse e di profitti che nell’instabilità sguazzano e coltivano interessi di pochi a danno di molti.
Come cittadini abbiamo il dovere di chiedere ai nostri governi di intervenire per generare opportunità in Africa, per combattere un modello produttivo, portato lì da noi occidentali, che oggi mette in ginocchio la capacità delle comunità locali di far fronte ai cambiamenti climatici e alle difficoltà ambientali. E poi possiamo agire in prima persona, possiamo provare a cambiare qualcosa nel nostro modo di consumare e di vivere come homini oeconomici perché anche da qui parte il cambiamento del mondo. Il nostro dovere è restituire almeno in parte le ruberie che una stagione di colonialismo prima e una di neocolonialismo poi (spesso ancora in corso) hanno perpetrato con la complicità di governo locali corrotti.
Solo così potremo capire il dramma di chi migra e, soprattutto, praticare quella fraternità che è alla base dei valori fondanti della civiltà comune europea.
Carlo Petrini
Presidente di Slow Food
Slow Food da anni è attiva in oltre 40 paesi del continente africano. Sta creando una rete di orti buoni, puliti e giusti nelle scuole e nei villaggi per garantire alle comunità cibo fresco e sano, ha avviato 43 Presìdi, catalogato 476 specie vegetali e razze animali a rischio di estinzione con l’Arca del Gusto, ha avviato 2 reti di Alleanze tra cuochi e 4 Mercati della Terra. Inoltre ha una rete di soci e attivisti che organizzano eventi e campagne sulle principali politiche di Slow Food: contro l’accaparramento delle terre, contro l’uso di Ogm, a favore di una pesca sostenibile e delle popolazioni indigene, ….
Con loro, Slow Food protegge la biodiversità locale, tutela i saperi tradizionali e costruisce un futuro per le giovani generazioni.