Quanta carne mangiamo? E soprattutto quale?
Credo che nessuno di noi possa sottrarsi oggi a questi interrogativi. L’essere attivista Slow Food, simpatizzante, eco gastronomo, definiamoci come più ci piace, non può certo oggi prescindere dal riflettere sui propri consumi di carne.
Slow Food ha cambiato profondamente la mia percezione in questo senso, acuendo la mia sensibilità e anche il livello di attenzione e soprattutto di evangelizzazione su quanta e quale carne mangiare. Certo, già al mio arrivo a Torino, imberbe giovinetta di Barbagia, ebbi i mei primi problemi. Tutta quella carne esposta al supermercato non me la raccontava giusta.
Ho smesso di mangiarla, di colpo senza però la cultura alimentare sufficiente per bilanciare una dieta già priva di latticini. E di legumi che all’epoca erano davvero a me sconosciuti. Pensavo solo esistessero i disgustosi borlotti farinosi del minestrone delle elementari.
Mia madre la risolse a modo suo, facendomi arrivare a Torino le proteine animali (ovviamente provenienti da allevamenti di amici allevatori) di cui avevo bisogno. Rimaneva il fatto che i banchi da supermercato zeppi di tagli anonimi mi stringevano stomaco e cuore: passare dagli animali allevati da amici in piena libertà e in equilibro, dal pasto legato al rito e scandito dalle stagioni alla confezione plasticosa al supermercato è stato per me un piccolo trauma.
Tutta questa lunga introduzione l’ho voluta fare convinta che non sia la sola a primi questi dubbi e a vivere forti disagi quando vedo l’eccesso, consapevole che 90 su cento quella carne da scaffale arriva dalle fabbriche.
È di pochi giorni fa la notizia che è praticamente pronto il mega grattacielo di 26 piani in grado di mandare al macello 1.200.000 suini all’anno. Avete letto bene. Non so a voi ma a me viene da piangere al pensiero.
Un vero baluardo di crudeltà, simbolo della più spregevole ingordigia e bramosia umana. E di un sistema che sappiamo bene continua a depredare risorse, causare sofferenze, per il beneficio di pochi.
Come si può combattere questa atrocità?
Ecco noi di Slow Food siamo convinti che piccole e significative conquiste si ottengono con la diffusione della cultura, con il supporto a quelle realtà che ancora preservano umanità e rispetto per il creato. Sicuramente il consiglio è di ridurre i consumi, eliminare completamente quelli che arrivano da queste fabbriche, ma anche di capire quale fonte scegliere e quali tagli.
Se è vero che non possiamo fare tutto noi, che non è solo il consumo a dover cambiare che aspettiamo e insistiamo nel chiedere a politica e istituzioni una azione decisa in questo senso, è anche vero che le nostre scelte fanno la differenza.
Una consapevolezza che fa parte della filosofia e del lavoro in un cuoco che con orgoglio vi presentiamo. Cristian Borchi, dell’Antica Porta di Levante, a Vicchio, nella valle del Mugello è un cuoco attivista ben consapevole del suo fondamentale ruolo di educatore e del grande tesoro che arriva dalla sapienza contadina. Che non si stanca di interpretare, rinnovare, diffondere.
E perché la lunga introduzione sul consumo di carne? Perché Cristian potrebbe scrivere nome e cognome su ogni piatto e soprattutto perché la sua lezione di In Cucina con Slow Food parla proprio di questo, del consumo di carne ragionato, degli allevamenti rispettosi. E del fatto che l’animale non è fatto di solo petto, lombate e filetti. Se guardiamo alla nostra immensa tradizione gastronomica, e alla saggezza contadina, troviamo davvero tante proposte per valorizzare quei tagli considerati meno nobili. Con Christian Borchi impareremo a fare il lampredotto e altre preparazioni della tradizione toscana.
Vi propongo una breve intervista che spero potrà incuriosirvi e farvi venire la voglia di partecipare alla sua lezione in programma lunedì 12 dicembre alle 18.
Affrettatevi, è possibile prenotare qui entro il 5 dicembre!
Ho letto che l’amore per la cucina è nato nel negozio di alimentari dei tuoi genitori, che hai girato il mondo e che tutto questo ti ha insegnato a puntare tutto sull’ingrediente e sul gusto.
Ci fai un esempio di una preparazione che ami?
Mi piace molto proporre i tortelli mugellani, una preparazione contadina di cui le nostre famiglie vanno fiere. Ho una piccola azienda agricola e coltivo anche patate, quindi mi piace valorizzarle nel ripieno di questa pasta tradizionale. Che propongo semplicemente con ripieno di patate, appunto, aglio e prezzemolo tritato, e giusto una punta di concentrato di pomodoro. Questa è la mia variante, ma ogni famiglia ha la sua. Come nella migliore tradizione italiana.
Immagino che il tuo menù sia dettato dalla stagione e dalla disponibilità dei produttori. Ma c’è qualche ingrediente che preferisci e che non manca mai nella tua proposta? O che non vedi l’ora arrivi la stagione? Io, per esempio, aspetto i pomodorini e i fagiolini estivi con grande trepidazione…
Aspetto il carciofo, nella piana vicino a Empoli, qualche carciofaia c’è sempre stata, non una produzione massiva, ma sufficiente per toglierci lo sfizio. Un altro vegetale che mi piace tanto e si era perso durante la guerra è il topinambur: si pensava fosse un fiore decorativo, finché sotto non si è scoperto il tubero! Ora che ci penso carciofo e topinambur hanno un gusto molto simile…
Io mangio la carne, certo la scelgo con dovizia e lavoro ogni parte. Non spreco davvero niente.
Una preparazione stagionale che aspetto è lo stufato di maiale cotto nel mosto nell’uva della vendemmia. Quest’anno però sono riuscito a cucinarlo una volta sola. La raccolta è stata ottima ma precoce e questo non è propriamente un piatto estivo… Altro segno del clima che cambia e di come influenzerà anche raccolti e preparazioni.
Ma veniamo alla preparazione che proponi nella tua lezione di In cucina con Slow Food, il lampredotto. Ci fai un po’ la storia di questo piatto? Origini, evoluzioni?
Erano i tagli che venivano dati al popolino. Tieni presente però che mangiare la carne di vacca era un evento, perché principalmente era un animale da latte. Ecco, i miei nonni non è che mangiassero bistecca tutto l’anno.
Il lampredotto in particolare era una preparazione cittadina, in campagna non era (e non è) così diffuso, i banchini del lampredotto erano i fiorentini per tradizione. Prima che diventasse la via delle botteghe di orafi e gioiellieri, Ponte Vecchio era il ponte dei macellai, dei beccai, che sono stati spostati per decoro. Chiaramente c’era più opulenza ed era più facile trovare il quinto quarto. E da qui nasce questo cibo prettamente di strada. In campagna l’apporto proteico era dato da animali da cortile e dai legumi.
Come proponi questa preparazione nella tua lezione di In Cucina con Slow Food?
L’inzimino di trippa e lampredotto. Si fa un fondo odori, si aggiunge il lampredotto, aglio peperoncino, bietole e spinaci un po’ di concentrato di pomodoro (la ricetta dettagliata arriva con il kit una volta prenotata la lezione ndr).
Al macellaio si deve chiedere proprio il lampredotto, magari andate in anticipo! Se proprio non si trova bisogna chiedere la parte della cuffia della trippa, più morbida e delicata.
Cosa ne pensi del quinto quarto diventato piatto gourmet?
Purtroppo, spesso viene buttato perché nella filiera sono una parte piccola e costa meno smaltirla che venderla. Tanto che una animella può costare al ristoratore anche 23 euro al kg. Ecco perché è diventato così un cibo gourmet, da élite. Una grave distorsione del mercato, alimentata dalla speculazione. D’altro canto, bisogna ammettere che la normativa rende più difficile il recupero di queste parti.
Durante l’ultima edizione di Terra Madre Salone del Gusto ho proposto i granelli di toro che costano pochino, ecco sono andati benissimo. Ma se scrivi cosa sono esattamente, più di una persona storce il naso…
Per ritornare alla necessità di una maggiore cultura alimentare.
Quella che proponiamo nel nostro ciclo di incontri e lezioni di cucina!
Michela Marchi, m.marchi@slowfood.it
In cucina con Slow Food, a lezione con i cuochi dell’Alleanza è realizzato grazie al contributo di Pastificio Di Martino, QBA – Quality Beer Academy di Radeberger Gruppe e Acqua San Bernardo. Mentre il progetto dell’Alleanza Slow Food dei cuochi è sostenuto da Arix, Pastificio Di Martino e San Bernardo.