Questo non è un cuoco #20. Marco e Costanza Durastanti tra cucina, orto e vigna

Marco Durastanti e sua sorella Costanza non sono (soltanto) due cuochi, ma contadini veri e propri. Il motivo? I bellissimi orti coltivati dai due ristoratori di Villa Costanza, realtà palermitana dalla storia ormai ventennale.

«Sono sei anni che abbiamo gli orti» ci racconta Marco. Prima i terreni a Ciaculli, appena fuori dalla città, poi tre ettari di vigne, infine un’altra porzione di terra dove viene praticata la cosiddetta aridocoltura, cioè la coltivazione di varietà vegetali in assenza di irrigazione, sfruttando le caratteristiche delle piante e la naturale umidità offerta dal suolo. In totale, Marco e Costanza Durastanti oggi dispongono di sette ettari di terra. 

«Il progetto degli orti è nato perché intendiamo il nostro lavoro come una missione per raccontare il territorio – prosegue Marco – non soltanto stabilendo relazioni con i tanti produttori di piccola scala della nostra zona (tra cui quelli di Presìdi Slow Food come l’aglio rosso di Nubia, i capperi di Salina, la cipolla di Giarratana, i derivati del suino nero dei Nebrodi, il pecorino piacentinu ennese allo zafferano, il miele di ape nera siciliana, ndr), ma anche mettendoci le mani in prima persona. E poi, in questo modo, possiamo anche proporre ai nostri clienti erbe e piante spontanee che fanno parte della tradizione siciliana, come la portulaca e la borragine, ma che sono difficili da trovare in commercio».

La scommessa durante i mesi di lockdown

Invece di partire dall’inizio della storia, questa volta cominciamo dal fondo, dall’ultima novità di Villa Costanza: la distribuzione delle verdure ai clienti del ristorante. «Un progetto che abbiamo avviato qualche anno fa ma che ha subito un’accelerazione l’anno scorso, proprio nei mesi della pandemia: avendo diversi ettari di orto in produzione, in pieno lockdown ci siamo trovati con parecchia merce a disposizione senza poterla utilizzare in cucina, come facciamo normalmente. Abbiamo dovuto pensare a una soluzione e l’abbiamo trovata nella distribuzione delle cassette di verdura direttamente ai consumatori. E anzi, per poter rendere sostenibile questa tipologia di offerta, abbiamo persino aumentato gli ettari coltivati. E così, oggi, i prodotti che coltiviamo non li usiamo solo per preparare i piatti del menù, ma li vendiamo anche: è un vero e proprio canale distributivo del tutto autonomo rispetto alla ristorazione». 

I protagonisti sono molti: ci sono i pomodori – «ne abbiamo diverse varietà, dal datterino al piccadilly, fino al cuore di bue» precisa Marco -, i peperoni corno di toro, le zucchine napoletane, i tenerumi – «ovvero le foglie verdi della zucchina serpente, tipiche della cucina siciliana» -. Poi, saltando da una stagione all’altra, le zucche, le melanzane («bianche, viola e a volte anche la melanzana perlina»), i carciofi, la bieta, le erbe spontanee, i broccoli, le cime di rapa… «e poi facciamo un po’ di esperimenti! Sempre, però, ci facciamo aiutare da agronomi che ci consentono di lavorare meglio, sprecando meno risorse possibile».

«Capita che i turisti ci chiedano di visitare gli orti – rivela Marco – così, quando lo sappiamo per tempo, ci organizziamo con le agenzie di viaggio locali per gestire gli spostamenti. Dopo la visita, torniamo tutti insieme al ristorante: noi in cucina, i nostri ospiti a mangiare ciò che hanno visto nei campi e, magari, anche raccolto». 

L’origine del locale e il progetto per il 2022

Da queste esperienze, Marco e Costanza hanno preso spunto (ed entusiasmo) per mettersi a lavorare al prossimo progetto, che nascerà nel 2022: «Un locale in città che abbia uno spazio verde dove ci sia la possibilità di fare laboratori e attività didattiche con il pubblico. Vogliamo cercare di sbloccare alle persone un nuovo livello di consapevolezza: far capire agli ospiti che esistono mais non gialli e carote non arancioni». Non stranezze da laboratorio, semplicemente varietà diverse da quelle a cui siamo abituati a pensare, colture che assicurano biodiversità al nostro pianeta.

Ora però facciamo un passo indietro. Villa Costanza nasce nel 2000: «I nostri genitori non erano proprio contentissimi dell’idea di mia sorella di avviare questa attività, forse perché nella vita si sono occupati di tutt’altro – rivela Marco, che ha tre anni in meno di Costanza – ma l’hanno comunque supportata. Il mio ingresso nel settore, invece, è avvenuto qualche anno più tardi, nel 2011». I due fratelli mettono a punto l’idea di gastronomia che vogliono proporre e avviano un lavoro fatto di territorialità, di stagionalità, di contatto con i fornitori locali, di agricoltura biologica fino ad arrivare agli orti di cui abbiamo già parlato.  «Negli anni, poi, sono arrivate prima le birre e poi i vini – racconta Marco – e infine anche l’olio che produciamo con un frantoio della zona. In tutto questo tempo non abbiamo mai smesso di cercare aziende locali da valorizzare: per quanto riguarda le birre, ad esempio, scegliamo un ingrediente da rilanciare e lo aggiungiamo alla cotta. Un esempio? La manna delle Madonie (Presidio Slow Food), un prodotto zuccherino che innesca la fermentazione, che ci viene fornita da produttori locali: in questo modo promuoviamo davvero il territorio». 

Tutti i collaboratori di Villa Costanza riuniti per la vendemmia

L’ultima curiosità che chiediamo a Marco Durastanti riguarda il vino: «Coltiviamo vitigni autoctoni come grillo e nero d’Avola, produciamo pochissime bottiglie, tra le mille e le millecinquecento. Ma crediamo che sia importante farlo, anche perché è un progetto che coinvolge tutto lo staff del ristorante». In che senso? «Che chi lavora con noi partecipa alla vendemmia! Si fa la raccolta delle uve tutti insieme, così il vino diventa il frutto dell’impegno dell’intera squadra. Il ristorante è un lavoro corale».

 

di Marco Gritti
m.gritti@slowfood.it

Torna all'archivio