Conosciute da sempre, un tempo le fave larghe di Leonforte erano molto diffuse: si coltivavano in rotazione con il frumento, servivano per arricchire il terreno di azoto e poi erano (e sono ancora) un ingrediente cardine della cucina leonfortese. La coltivazione è ancora oggi completamente manuale. Tra novembre e dicembre si preparano i solchi, si depongono i semi a postarella (a gruppi) e si ricoprono di terra. Poi si zappetta per togliere l’erba e si accuccia (si rincalza terreno attorno alle piantine man mano che crescono). Quando le piante incominciano ad avvizzire si falciano, si fanno essiccare in piccoli covoni (manate di favi) e si battono nell’aia (una volta si calpestavano con gli animali). Per separare la furba (i resti di fogli e fusti) dal seme si buttano in aria, con un tridente, nelle giornate di leggera brezza. Le fave Larghe sono buone e cucivuli, dicono a Leonforte, ovvero cuociono facilmente e non vanno tenute a lungo in ammollo (come gli altri legumi). A fine marzo ci sono quelle verdi, appena raccolte: si bagnano nel sale con le cipollette e si mangiano con il formaggio pecorino (favaiana e cipuddetti) oppure si cucina la frittedda facendole soffriggere in olio extravergine con pancetta e cipolle e poi cuocere a fuoco lento. Le più piccole si davano agli animali; le più grandi si vendevano ai commercianti. Così ogni anno i campi di fave si riducevano e la fava larga rischiava di scomparire per sempre.
Stagionalità
Si raccoglie a fine marzo, secca è reperibile tutto l’anno
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