Partire per non tornare mai più: la storia di Ciccio

Francesco Anastasi, per gli amici Ciccio, è nato a Messina e si è laureato, nel 2014, a UniSG con una tesi su: “La pesca del pesce spada nello Stretto di Messina: mito, sostenibilità e futuro”.

Ciccio è nato, cresciuto e si è appassionato di mare in Italia eppure un giorno è partito per la Colombia, spinto dal sogno di un caffè più buono, più pulito e più giusto. È partito per non tornare mai più, come in quel tormentone di Giusy Ferreri che per una estate intera cantavamo tutti…

Tutto è nato dall’idea di avvicinare la finca al consumatore, in una maniera molto umana.

L’immagine del contadino eroe, dopo tutti questi anni in Slow Food, è difficile da smontare. Ma la Colombia ha delle caratteristiche sue proprie che la limitano come produzione, non ha né la geografia né le strutture, ma allo stesso tempo aspetta che la Federazione inizi a lavorare per migliorare la qualità del caffè. Se la Federazione non sarà disposta a migliorare la qualità del caffè in Colombia esiste la possibilità che il caffè non sia più la coltura principale del paese. Molti produttori, anziché lavorare il caffè già adesso preferiscono sradicare le piante per sostituirle con piantagioni di avocado, mandarino o per edificare i lotti.

Perché succede questo? In molti casi, la produzione di caffè non è più sostenibile: gli interventi da attuare per adattarsi alle nuove condizioni di coltivazione sono troppo costosi, i prezzi bassi della vendita del caffè danno scarsi guadagni. Il 61% dei produttori di caffè, infatti, non copre i propri costi.

La Federazione da qualche tempo sta incentivando una varietà di “castillo”, un ibrido, che è un sempreverde e consente ai produttori una raccolta più omogenea durante l’anno. L’obiettivo è diffondere il più possibile questa pratica.

Il prezzo interno del caffè legato alle quotazioni internazionali non sempre riflette i costi reali sostenuti dai produttori colombiani. 

Un’altra criticità è rappresentata dalle modalità di raccolta del caffè molto simili a quelle della raccolta dei pomodori in Italia. Infatti, i ragazzi che raccolgono il caffè in Colombia sono pagati a chilo, quindi il loro obiettivo è di raccogliere quanti più chicchi possibile nel minor tempo possibile talvolta a pregiudizio della qualità (alta percentuale di chicchi verdi).

La stessa forza lavoro è sempre più una criticità. Si tratta di un lavoro duro che pochi vogliono fare e quei pochi, spesso, non sono abbastanza formati. La manodopera è difficilmente reclutabile. Con l’arrivo del Venezuelani la situazione era leggermente migliorata per ritornare però come prima con la pandemia del COVID-19 (e il loro ritorno in Venezuela).

Il clima sta cambiando, stanno cambiando le stagioni. Il “BOSS” delle fincas ormai è il clima: l’organizzazione del lavoro, la strategia, cambia tutti gli anni provando a adattarsi al cambiamento climatico. 

Ci deve essere un lavoro di qualità sulla pianta, sulla raccolta.

Il caffè è una pianta. Punto fondamentale, durante la raccolta è aspettare la maturazione della ciliegia per poi poter apprezzare le varie note gustative in tazza. Sempre più produttori stanno tostando il proprio caffè, anche quelli più piccoli con meno connessioni internazionali. Anche in Colombia, finalmente, i produttori stanno iniziando a vendere il caffè a caffetterie locali e i colombiani stanno iniziando a bere il caffè colombiano, buono.

La Colombia in effetti ha sempre prodotto un caffè di qualità ma il caffè migliore era destinato all’esportazione. La Federazione proibisce l’esportazione di caffè con difetti. 

La cultura di bere caffè in Colombia, sensorialmente, non è mai stata sviluppata. La qualità del caffè, per i Colombiani, sta migliorando solo di recente: nelle grandi città e negli ultimi anni le caffetterie di qualità stanno crescendo; si fa sempre più attenzione alla qualità in finca, alla raccolta e alla lavorazione.

La mentalità della eccellenza sta gradualmente cambiando: privilegiando la qualità in generale e non solo il suo riconoscimento all’estero. 

Ciccio e Gabriela stanno cercando di creare un cammino, parallelo a quello della qualità, di cultura e di informazione del caffè.

Nasce così il progetto Finca Santa Romero. 

Ad Ottobre 2021, Francesco e Gabriela, si sono trasferiti in Colombia per cercare produttori di caffè sostenibile e selezionare un caffè Buono, Pulito e Giusto per tutti, dai produttori ai consumatori.

Una grande opportunità per tutti e innanzitutto per i Colombiani.

La scelta di vivere in Colombia per Ciccio era essenziale per capire nella quotidianità la realtà della Finca avendo un contatto diretto con i produttori. Questo percorso di conoscenza è per Ciccio e Gabriella un cammino da condividere con gli altri attraverso il proprio profilo Instagram (@santaromero) e un Podcast, Coffee in a beanshell.

E infine la bellezza del nome scelto da Ciccio e Gabriella: Santa Romero.

Una storia vecchia come il caffè della Colombia, una vecchia storia di un Padre gesuita, Francisco Romero, che dopo la confessione, chiedeva ai peccatori di piantare dieci piante di caffè anziché di recitare Ave Maria…

Una “pratica” che avrebbe conquistato tanto tempo fa anche un Vescovo gesuita colombiano che decise che era giusto diffonderla in tutta la Colombia.

Ciccio da Messina ha raccolto il testimone di Francisco Romero.

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