È il primo importante risultato degli Stati Generali del latte crudo. Durante l’incontro tenutosi nell’edizione di Cheese (Bra, settembre 2017), che ha riunito oltre 350 partecipanti di varie nazionalità, Slow Food ha proposto la creazione di una rete di casari, allevatori, affinatori, tecnici, veterinari, ricercatori, giornalisti, attivisti e semplici appassionati di formaggio: una rete mondiale che si batterà innanzitutto affinché sia consentito produrre formaggi a latte crudo in tutti i paesi del mondo.
L’Unione europea consente di produrre a latte crudo, ma non tutti i Paesi hanno recepito adeguatamente le indicazioni comunitarie. Manca infatti una cultura diffusa che riconosca valore al latte crudo come elemento determinante per produrre qualità e salvaguardare identità casearie. Anche le Denominazioni di origine, spesso, non prevedono questo requisito e, addirittura, talvolta impediscono ai casari che lavorano latte crudo di usare il nome storico. Il caso più eclatante è lo Stilton, per il quale Slow Food ha creato un Presidio e lanciato una raccolta firme.
Fuori dall’Europa la situazione è ancora più grave. Dagli Stati Uniti all’Australia, la produzione a latte crudo è proibita oppure è consentita con mille, scoraggianti restrizioni e quasi sempre solo per i formaggi stagionati più di 60 giorni.
La rete “ Slow Cheese” nasce per attivare le energie e l’impegno di migliaia di militanti ogni volta sia necessario: per sostenere una petizione, proporre modifiche alle normative, supportare produttori in difficoltà in vari paesi, condividere esperienze e conoscenze.
È inoltre uno strumento per promuovere e divulgare un modello produttivo ben preciso. L’uso del latte crudo, infatti, è il tema centrale, ma è strettamente a molti altri ed è espressione di una produzione artigianale di piccola scala.
I primi temi per la rete sono emersi dagli interventi di alcuni delegati degli Stati Generali. Eccoli in breve:
– la sensibilizzazione delle autorità pubbliche affinché le leggi che devono garantire sicurezza e igiene delle produzioni tengano conto anche delle piccole realtà produttive locali e delle produzioni tradizionali da salvaguardare. A questo proposito Débora de Carvalho Pereira ha raccontato negli Stati Generali come in Brasile le piccole produzioni a latte crudo siano in continua difficoltà, situazione comune ai Balcani o all’Australia, secondo l’esperienza portata da Kris Lloyd.
– l’eliminazione dei fermenti industriali, che omologano i formaggi e compromettono la loro biodiversità. Sempre più diffusi, sono impiegati non solo dall’industria, ma anche da tanti piccoli produttori. Molti di loro (come il cubano Kent Ruiz), hanno chiesto aiuto per eliminarli e sperimentare strade alternative.
– l’importanza di salvaguardare i pascoli e la fertilità dei suoli e il lavoro per migliorare la gestione degli animali. Perché un latte buono e salubre comincia dall’erba e dal benessere animale.
Dal primo incontro sono emersi anche interessanti stimoli socio-culturali, come l’esigenza di definire un’identità per i formaggi dei paesi che hanno una tradizione produttiva più recente, spesso introdotta dai coloni (è il caso del Sudafrica, segnalato dal delegato Brian Dick, ma anche dei formaggi brasilani, etc).
Le idee sono molte, e Slow Food attende stimoli e richieste dalla rete: sia dai singoli sia dalle realtà collettive alleate, come la coalizione Oldways, rappresentata agli Stati Generali da Carlos Yescas, che da tempo collabora con Slow Food su progetti, comunicazione e ricerca, svolgendo un lavoro prezioso di sensibilizzazione negli Stati Uniti, in Messico e in altri paesi, e la rete FACE, che coordina in Europa progetti e iniziative a supporto dei piccoli produttori artigianali dalla Svezia alla Spagna, e che a Cheese è stata rappresentata dalla vicepresidente Remedios Carrasco.
Aderite quindi numerosi a Slow Cheese, un grande lavoro ci aspetta. E ricordate il messaggio di Terra Madre: loro sono forti, ma noi siamo moltitudine!