Si dice che i montanari abbiano la testa dura. Ed è così a ben guardare la storia dei ribelli del bitto. Storia che ieri ha avuto il suo epilogo finale con la firma dell’accordo tra il Conzorzio per la salvaguardia del Bitto storico, il comune di Gerola e il Consorzio di Tutela formaggi Valtellina Casera.
Ma procediamo con ordine. Bisogna risalire a vent’anni fa, al 1994, quando ha inizio la contestazione dei produttori dell’area storica del Bitto (Valli del Bitto) nei confronti di una Dop che allargava la produzione a tutta la provincia di Sondrio. Una contestazione che divenne più aspra con la modifica del disciplinare e l’introduzione dei mangimi nell’alimentazione in alpeggio e dei fermenti selezionati (2005), con la temporanea uscita dei produttori storici dalla Dop (2006) e con le sanzioni comminate dal Ministero nei loro confronti (2009).
Nel frattempo però i produttori non si sono dati per vinti e hanno trovato numerosi compagni di strada. Giornalisti, gastronomi, associazioni ma soprattutto Slow Food che, con loro, ha avviato un Presidio con un disciplinare di produzione severissimo: il Bitto storico prevede l’uso del 10-20% di latte di capre orobiche, la produzione esclusivamente sui pascoli (tra i 1400 e i 2000 metri) durante i mesi estivi , l’uso della legna per alimentare il fuoco sotto il paiolo in cui si riscalda il latte (arricchisce l’aroma del formaggio), l’uso di attrezzi in legno anziché di solo acciaio o plastica (contribuiscono a mantenere e sviluppare la microflora spontanea del latte e quindi dona caratteristiche organolettiche particolari a ogni forma), la salatura a secco nelle fascere di legno (favoriscono la formazione di una crosta più delicata sul formaggio, ottenendo quindi una migliore maturazione).
Il bitto ha partecipato a tutti gli eventi Slow Food, ai Mercati della Terra, ai gruppi di acquisto e agli scambi tra produttori di tutto il mondo diventando un emblema internazionale di resistenza casearia e di tutela della biodiversità. Inoltre l’associazione dei produttori del Presidio alcuni anni fa avviò in Val Gerola (provincia di Sondrio, Italia) un centro di affinamento e promozione, collettivo, per valorizzare la produzione del bitto. Per reggere lo sforzo finanziario necessario è stata istituita un’apposita Spa che ha raccolto adesioni e finanziatori anche tra privati non legati al mondo della caseificazione. Il progetto in questi anni ha rilanciato il prodotto d’alpeggio, assumendo il ruolo di facilitatore nella filiera e di polo di promozione di questo prodotto supportando così la comunità di produttori e la loro attività di gestione dei pascoli.
Oltre a resistere, i ribelli si sono rafforzati (costituendo un problema crescente per chi si rifiutava di legittimarli), portando così a un cambiamento e all’accordo di oggi con le istituzioni.
«Per anni in Italia (con qualche eccezione, specie nel settore enologico)», ha affermato Paolo Ciapparelli, referente storico del Presidio «la ‘compattezza’ di un prodotto e di un territorio si è misurata sulla negazione delle differenze. In Francia, dove le denominazioni di origine risalgono al XIX secolo, i grandi vini prestigiosi hanno adattato le Doc a sistemi di classificazione che valorizzano le eccellenze sancite dalla storia, corrispondenti ad aree limitate ed elevatissimi livelli qualitativi. Esse trascinano a cascata aree produttive più vaste. Le decine di migliaia di bottiglie trascinano i milioni. Il modello Bitto (su scala ridotta) può funzionare nello stesso modo con vantaggio reciproco».
«Caseificazione eroica: è il solo modo corretto di definire l’attività degli allevatori del Bitto quando salgono in malga e fanno formaggio» dichiara Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. «Fatica, dedizione, saper fare, testardaggine: tutte caratteristiche che valgono a definire la loro visione della vita e delle proprie tradizioni e che probabilmente ha pochi eguali nel mondo. Ed ora finalmente vedono riconosciuta ufficialmente la loro specificità: è un bel giorno per altri piccoli produttori che possono sperare di ottenere lo stesso risultato, è un bel giorno per Slow Food che li ha sempre accompagnati rispettandone le decisioni, ma soprattutto è un magnifico giorno per loro, per i ribelli del Bitto che ora possono guardare al loro futuro con maggiore tranquillità».
Non c’è esempio migliore di questo, dunque, per esemplificare la forza e l’importanza della rete. Di Slow Food e dei suoi Presìdi.