Velo Veronese è un paese di mezza montagna, sui Monti Lessini, in Veneto. Dista appena una trentina di chilometri da Verona, ma è già tutto un altro mondo: non ci sono i turisti con le macchine fotografiche al collo, il rumore delle auto e i dehors affollati, ma pecore che brucano su prati delimitati dai resti di muretti a secco, paesini che sembrano borgate, boschi di faggi alternati a pendii destinati al pascolo. Un’eredità ben conservata, e lo testimonia il fatto che questo paesaggio è stato iscritto tra i primi nel Registro dei paesaggi rurali storici italiani.
Ma Velo Veronese merita una visita non solo per godere della quiete della Lessinia. Vale la pena pianificare una tappa anche per godere della cucina di Giovanni Caltagirone nel suo ristorante 13 Comuni. Il risultato è memorabile, in particolare per la grande ricerca e valorizzazione fatta negli anni sulla carne di pecora brogna, recentemente
Giovanni è uno di quei cuochi che intendono la cucina come un mezzo per trovare un senso, comunicare una storia e una cultura.
Il risultato è memorabile, in particolare per la grande ricerca e valorizzazione fatta negli anni sulla carne di pecora brogna, recentemente riconosciuta Presidio Slow Food grazie al lavoro svolto dall’associazione di cui lui stesso fa parte.
Giovanni, non è originario della Lessinia ma di Verona. Perché ha scelto di trasferirsi qui?
La Lessinia è stata il luogo delle vacanze fin da quando ero bambino: i miei genitori mi ci portavano già a 4 anni, anche i sabati e le domeniche. Anno dopo anno ho capito che avrei voluto vivere qui: una volta cresciuto ho cominciato a dare una mano a mio padre nel suo ristorante di Verona, ma il mio desiderio continuava a essere quello di vivere in montagna. Quel sogno l’ho realizzato molto più tardi, nei primi anni del Duemila, quando mi sono trasferito a Velo Veronese riprendendo l’attività di cuoco di montagna affiancato in sala da mia moglie Elisa. Erano passati dodici anni dall’ultima volta in cucina! Fin da subito, però, sapevo che non mi sarebbe bastato semplicemente cucinare: volevo raccontare delle storie, esprimere nella mia cucina questa terra. Cercavo, insomma, un’identità precisa: perché la cucina è come una calligrafia, una grammatica, uno strumento che serve a trasmettere contenuti.
Da dove nasce questo legame così forte con la pecora brogna?
Da quando ero piccolo! Con mia madre andavo per funghi su queste montagne, oppure a comperare le uova dai contadini, e ricordo che vedevo tanti animali da cortile e anche la brogna: la adoro, è una pecora rustica che vive con poco.
La pastorizia, in queste zone, è storica e risale addirittura al Neolitico…
Sì, oggi però è a rischio: anche in Lessinia, infatti, vengono preferiti sempre più i bovini, che risultano maggiormente remunerativi. Io ho voluto restituire valore a questa razza, ma non è stato facile: penso a mia moglie Elisa che lavora in sala, era lei che doveva convincere i clienti a ordinare la carne ovina in un luogo dovela tradizione di consumare questo tipo di carne è andata completamente persa. Mio suocero, che gestiva il ristorante prima di noi, faceva una cucina buona, semplice, molto vera, ma sorrideva quando mi vedeva insistere con la carne ovina. Secondo me invece era la strada giusta. Dal 2012, poi, c’è l’Associazione per la tutela della pecora brogna: quando Massimo Veneri, uno dei pastori che ha più brogne, mi chiese se volevo far parte del gruppo accettai subito.
Ogni anno il numero di clienti che vengono da me per mangiare la carne di brogna aumenta, anche se purtroppo questi piatti sono ancora fuori menù: il loro costo è un poco più alto degli altri, perché richiedono un gran lavoro che non sempre viene compreso. Faccio un esempio: in una piccola coscia ci sono cinque o sei muscoli diversi, perciò va lavorata attentamente per garantire che sia gradevole al palato.
Quali peculiarità ha la carne di brogna?
Con la carne ovina che mi vende Lorenzo Erbisti, l’unico pastore ancora transumante in Lessinia, mi rapporto come con quella bovina: anche la pecora ha i suoi tagli e tutti meritano di essere valorizzati.
Il mio è un approccio “slow meat”, nel senso che cerco di lavorare tutto l’animale. Non trovo etico, rispettoso dell’animale farlo a pezzi e metterlo semplicemente in forno: in questo modo non si dà valore al sacrificio dell’animale, bisogna valorizzare al meglio tutte le parti dell’ovino con una cucina sapiente.
Per quanto riguarda le qualità della brogna, la carne cruda è eccellente, profumatissima, senza note di selvatico: con il lombo si può fare una battuta al coltello fantastica. Si deve ragionare su come cucinare tutto, anche la testa. Il cervello si può friggere e servire in un cartoccio di carta paglia come aperitivo o antipasto, per esempio. Personalmente, poi, cucino anche le guancette. Pulire bene le carni dagli strati connettivi è impegnativo: ci vuole impegno e tanto tempo, ma a me piace farlo. La creatività nasce della conoscenza dell’animale, dalla capacità di lavorarlo e dalla consapevolezza di quanto ti può offrire.
Che cosa significa essere un cuoco dell’Alleanza in Lessinia?
La pecora brogna non è l’unico prodotto locale che lavoro. Ci sono gli altri due Presìdi locali: il Monte Veronese di malga e il pero misso della Lessinia. Cerco i formaggi nei micro caseifici locali che lavoravano il latte delle proprie vacche allevate bene al pascolo e acquisto le carni bovine locali: compro anche le mezzene perché voglio lavorare l’intero animale! Mi sono costruito una rete di fornitori della zona e ho imparato a cucinare le materie prime che, a seconda delle stagioni, mi propongono: oggi sono i produttori stessi che mi telefonano e mi dicono «Ho una decina di conigli, come vuoi che te li allevi? Che cosa vuoi che gli dia da mangiare?». Per lavorare in questo modo occorre cambiare prospettiva: far parte dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi significa questo.
Ricorda qualche episodio particolare con produttori da cui ti rifornisce?
Una volta, il ragazzo che mi fornisce gli ortaggi del suo orto biologico mi ha portato una cassa di cipollotti. Onestamente non sapevo che cosa farne, così mi sono ingegnato: li ho glassati con l’aceto balsamico e poi serviti con la tagliata di fegato. Un’altra volta aveva tantissime rape rosse: le ho fatte in agrodolce e le ho messe in conserva per usarle come contorno, come decorazione dei piatti. Con il tempo, insomma, ho imparato che non bisogna pensare a che cosa vorrei cucinare, ma a come valorizzare gli ingredienti che mi arrivano.
Una cucina è buona quando è piena dell’energia positiva che nasce dall’agricoltore che ha coltivato in modo sano, dall’animale che è stato nutrito bene e da chi cucina con amore. Questo amore e questa energia positiva arrivano nel piatto e fanno bene a chi si siede a mangiare: è lo stesso motivo per cui ci emozioniamo mangiando un piatto cucinato da nostra madre: è pieno del suo amore.
Alla base della sua cucina c’è un enorme affetto verso il territorio. Cosa ami di più di queste montagne?
La cosa che amo di più della Lessinia è la natura, il paesaggio che è rimasto tutto sommato intatto sebbene anche qui ci siano troppe aziende zootecniche intensive, stalle in cui i bovini vengono nutriti con i mangimi anziché lasciati pascolare liberamente. Le persone sono autentiche, sincere, gentili, credono nella loro terra. Mi piacerebbe che capissero che è possibile allevare in modo diverso, più sostenibile, e vivere ugualmente bene: questo può avvenire solo aprendosi all’esterno, confrontandosi cioè con realtà diverse dalle proprie.