Stiamo vivendo un momento unico nella storia dell’umanità: una crisi sanitaria globale ha imposto simultaneamente in tutto il mondo un brutale arresto delle attività economiche e culturali, un rallentamento senza precedenti della produzione e del consumo, oltre che della socialità.
Però, a differenza di quanto avvenuto in occasione di grandi catastrofi del passato, in cui si mettevano tutte le energie al servizio dell’istinto di sopravvivenza o per salvare fisicamente il prossimo in pericolo, il Covid-19 non ci ha impedito di pensare, di arricchirci culturalmente, di esplorare il mondo e i diversi strumenti di conoscenza che la tecnologia ci aveva già messo a disposizione, ma che non avevamo ancora introiettato come elementi del nostro quotidiano.
E adesso che sembra arrivato il momento giusto per ripartire, non dobbiamo scappare da questa esperienza appena trascorsa, con i traumi e i cambiamenti che ci ha costretto a subire, ma prendere invece un po’ di rincorsa, tornando qualche passo indietro per guardarci bene intorno, e alle spalle, per capire dove vogliamo andare.
Dove stavamo andando, prima del Covid?
Gli scienziati ce lo stanno dicendo in tutti i modi: verso un pianeta in cui l’uomo rischia di distruggere la vita intorno a lui – in generale, tutta la biodiversità. Telmo Pievani, filosofo della scienza, ha recentemente dichiarato in un’intervista, pubblicata da Micromega: “Temo che la crisi sociale ed economica conseguente a questa pandemia possa ricacciare indietro il dibattito, anziché farlo progredire. In stato di necessità e di emergenza, di solito non si prendono decisioni lungimiranti, ma spero di essere smentito. La biodiversità sembra non interessare più alle opinioni pubbliche ed è un grave errore, perché interagisce con il cambiamento climatico ed è al centro della crisi ambientale. Se distruggiamo la foresta primaria favoriamo la comparsa di pandemie devastanti. Lo sapevamo, era già scritto in molti testi, non profetici ma semplicemente razionali”.
Fino all’esplosione della crisi sanitaria, l’emergenza climatica aveva finalmente conquistato un posto in primo piano nell’agenda delle istituzioni e dei governi: all’inizio di marzo la Commissione Europea aveva presentato il Green New Deal, un pacchetto di misure ambientali che conferma l’impegno al raggiungimento della neutralità nell’emissione di CO2 entro il 2050, tra le critiche di molte associazioni che ritenevano questo traguardo temporale troppo lontano.
Cosa è accaduto durante il Covid
Poi è arrivato il Covid, e, nel breve periodo, il lockdown ha già avuto un impatto sulle emissioni. Gli ultimi numeri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia mostrano che le emissioni di carbonio sono state inferiori del 5% nel primo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019 ed entro la fine dell’anno saranno diminuite dell’8%. Sarebbe di gran lunga il più grande calo in 120 anni.
Per raggiungere l’ambizioso obiettivo della Conferenza di Parigi (non superare l’aumento di 1,5°C della temperatura terrestre), secondo l’Environment Programme delle Nazioni Unite, le emissioni globali dovrebbero diminuire del 7,6% ogni anno da qui al 2030. Confrontando questo dato con l’8% dell’AIE, che si riferisce solo alle emissioni legate all’energia, abbiamo la misura tragica di quanto è accaduto e nello stesso tempo dello sforzo richiesto per il futuro.
Perdita di biodiversità e crisi climatica, intrecciate all’emergenza sanitaria ancora in corso, sembrano disegnare lo scenario della “tempesta perfetta”. Anche perché sono problemi globali, e le soluzioni per risolverli, o semplicemente cominciare ad affrontarli concretamente, richiedono livelli di cooperazione tra i governi che si dimostrano estremamente difficili e laboriosi.
Ma oggi più che mai, dopo aver attraversato una terribile pandemia, siamo tutti consapevoli che uomo e natura sono interconnessi, e che non può esserci salute in un pianeta malato. Dobbiamo quindi ripartire, ma senza ripetere gli errori che ci hanno condotto a questo presente drammatico.
Il futuro dopo il Covid?
Slow Food vuole avere un impatto e far sentire la sua voce presso tutte le istituzioni e i governi del mondo. I politici devono smettere di favorire il sistema del commercio globale e della speculazione del cibo-commodity, e fare in modo che la produzione e il consumo di cibo possano rimanere il più possibile locali. Ma non possiamo aspettare che qualcun altro cambi il sistema alimentare per noi – dobbiamo e possiamo cambiarlo noi stessi creando i nostri sistemi alimentari locali. Al centro c’è il bene comune legato al cibo, all’ambiente, alle relazioni sociali, alla spiritualità. Attraverso le comunità si possono affrontare le grandi sfide dei tempi che stiamo vivendo. E non si tratta di un’utopia buonista.
Rutger Bregman, giovane storico olandese, ha appena pubblicato il suo libro Humankind, un’ampia indagine sull’esistenza umana, che offre una prospettiva di come il genere umano possa organizzarsi in modo utile e altruistico. Nello storico dibattito filosofico se l’uomo sia intrinsecamente buono o cattivo, cioè sostanzialmente tra Hobbes e Rousseau, secondo Bregman finora ha prevalso la visione del primo, per cui storicamente la società con le sue istituzioni – scuole, aziende, prigioni – sono state progettate sulla base di un’ipotesi negativa rispetto all’essenza della natura umana.
Ma prove scientifiche suggeriscono che queste supposizioni sono gravemente errate. La nostra vera natura è quella di essere gentili, premurosi e cooperativi, sostiene: una volta eravamo così – e possiamo esserlo di nuovo. Bregman ha dichiarato di essere stato rincuorato dall’esplosione di cooperazione e altruismo verificatasi in risposta alla pandemia, e di come le persone abbiano dimostrato di sapersi organizzare – dal basso verso l’alto.
Proprio a partire dalle iniziative già esistenti sui territori, all’interno della rete Slow Food e non solo, nascono le Comunità del cambiamento, ma per crescere hanno bisogno di essere sostenute. Finanziare il cambiamento nella giusta direzione è l’obiettivo della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus: per riprendersi, riparare e uscire più forti dalla crisi, per sostenere le aree rurali nel realizzare i necessari cambiamenti strutturali, per trasformare l’immensa sfida che affrontiamo in un’opportunità, non solo sostenendo la ripresa, ma anche investendo nel nostro futuro dopo il Covid.
Il cambiamento che le comunità sono in grado di promuovere è quello di una società che ha imparato la lezione del Covid, e che rende accessibile a tutti l’offerta di cibo buono, pulito e giusto.
Ci sono due modi per sostenere le Comunità del cambiamento:
- per i cittadini: donazione del 5xmille alla Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus (CF 94105130481)
- adesione al fondo per le Comunità del cambiamento:
- per le aziende (e.margiaria@slowfood.it)
- per le istituzioni e fondazioni (m.borrelli@slowfood.it)
Paola Nano