L’uva moscato (Vitis vinifera Gordo Blanco) è originaria dell’Egitto e della Persia, dove già in epoca antica veniva vinificata oppure essiccata per venire consumata come frutto. In Australia è giunta ai primordi dell’industria vitivinicola nazionale, che nell’Ovest del paese si può far risalire agli anni quaranta dell’Ottocento, ed è giunta accompagnata dalla tradizione dell’uva appassita. A partire dal 1885 la produzione si è fatta più intensa, anche per impulso della popolazione confluita nella zona alla ricerca di giacimenti auriferi all’epoca della Corsa all’oro australiana. I metodi di essiccazione utilizzati erano quelli tradizionali.
Il moscato della Swan Valley viene raccolto a mano, e i grappoli destinati all’essiccazione vengono selezionati uno per uno. L’esposizione al sole e all’aria su telai o strutture di filo metallico è piuttosto prolungata, in ossequio al metodo tradizionale. I grappoli vengono esaminati a intervalli regolari e girati per garantire un’essiccazione uniforme. È una procedura che ben si addice al clima della Swan Valley, con i suoi inverni umidi e le sue estati asciutte. Oggi, però, i metodi tradizionali sono minacciati dal ricorso a processi industriali che vanno prendendo il posto dell’essiccazione tradizionale alla luce del sole.
L’afflusso di popolazione in Australia occidentale sulla scia della corsa all’oro aveva creato un fabbisogno di piccoli poderi, per cui notevoli porzioni dei latifondi più grandi erano state frazionate in proprietà più piccole, di area compresa tra 4 e i 16 ettari. Molti dei proprietari di queste piccole aziende agricole erano immigrati originari soprattutto dall’area dalmatica della ex Jugoslavia, più alcuni italiani. Tra il 1900 e il 1920 lo sfruttamento agricolo della Swan Valley si trasformò, passando dalla coltivazione del grano alla produzione di uva appassita (ribes, uvetta sultanina e moscato appassito) e uve da tavole destinate sia all’esportazione che al consumo locale.
All’altezza del 2015 la coltivazione di ribes e uva sultanina destinati al consumo locale sotto forma di uve appassite risulta del tutto scomparsa. La produzione di uve moscato destinate all’essiccazione, in compenso, è riuscita a sopravvivere. Restano però solo un pugno di piccoli produttori, per cui il prodotto è comunque a grave rischio di estinzione e i livelli di produzione sono scesi dalle centinaia di tonnellate annue dei tardi anni sessanta alle poche tonnellate di oggi. Fino agli anni novanta la maggior parte delle imprese vinicole disponeva di griglie o telai di filo metallico per l’essiccazione dei grappoli, ma molte di quelle strutture sono cadute vittima dell’incuria o sono state smantellate. Le recenti tendenze del mercato, inoltre, hanno visto le uve con semi venire gradualmente sostituite da varietà senza semi, più ricercate dai consumatori.
L’appassimento al sole è una procedura molto dispendiosa in termini di tempo e molto fisica in termini di intervento manuale. Sollevare e distribuire meticolosamente i grappoli freschi sulle grate è un lavoro faticoso. A seconda delle condizioni atmosferiche i grappoli vanno girati a mano per garantire un’asciugatura uniforme. Quando l’uva è appassita, i grappoli vengono scrupolosamente esaminati e selezionati da viticoltori esperti per garantire che il colore, la taglia, la forma del chicco e la struttura del grappolo corrispondano a standard di qualità elevati. La levitazione dei costi della manodopera non consente di produrre secondo questi criteri su larga scala. Per salvare questo prodotto a rischio occorre investire nella formazione e nel marketing per stimolare il consumatore ad apprezzare il prodotto locale, coltivato e raccolto secondo metodi tradizionali, basati su sistemi di conservazione naturale, al contrario dell’uva passa di importazione, essiccata in fabbrica.
