La tradizione del salame cotto è tipica di tutta la provincia viterbese. Il primo a riportare notizie di "salame cotto" è Apicio, il famoso cuoco vissuto alla fine del I secolo a. C., nel suo celebre ricettario "De re coquinaria". A Nepi la tradizione però si discosta leggermente da quella del resto della Tuscia sia per le dimensioni e la forma del salame sia per la preparazione.
Si produce tritando finemente le carni magre della spalla e aggiungendo il grasso di maiale tagliato a coltello. Si condisce con sale, pepe e si può aromatizzare con vino e anche aglio. Si insacca in budello naturale suino e si forma un caratteristico ferro di cavallo con legatura al centro che divide ogni insacco in due salami della dimensione di circa 20-25 cm. I salami vengono messi ad affumicare vicino al camino o in cella di affumicatura per alcune ore o al massimo una notte. Successivamente vengono bolliti e posti in vendita non appena raffreddati in quanto non si conservano più di qualche giorno.
Alla vista si presenta col caratteristico colore scuro esterno e al taglio roseo. L’impasto non è uniforme, in bocca ha una buona sapidità e il caratteristico sentore della affumicatura.
A Nepi ancora pochissimi artigiani continuano questa tradizione locale, anche se il prodotto è ancora ben radicato nei consumi degli abitanti. La produzione può essere fatta tradizionalmente tutto l’anno anche se, essendo un salume il cui impasto deve riposare e maturare, la tradizione di alcuni produttori è quella di farlo da aprile a novembre quando il caldo aiuta la lenta evoluzione del prodotto.
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Segnalato da: | Andrea Lucentini - Convivium Slow Food Corchiano e Via Amerina |