Ricotta salata di vacca podolica

Arca del Gusto
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La ricotta salata, localmente detta anche ricotta dura, è un latticino a breve stagionatura, di forma tronco-conica, forma impressa dalle fuscelle in cui è raccolta la ricotta. Il colore della pasta varia dal bianco avorio al giallo crema; le dimensioni sono variabili, circa 5-6 cm di altezza, diametro 8-10 cm. Il peso delle forme va dai 200 ai 300g.
In seguito all’asciugatura si presenta compatta con una consistenza dura al tatto, ma morbida al taglio e alla grattugia. Se conservata all’aria la superficie si presenta opaca e granulosa, ma è lucida se conservata sottovuoto, a causa dell’affioramento del grasso. Durante la conservazione possono comparire macchie bianche dovute alla fuoriuscita del sale, mentre se conservata in ambienti umidi si possono formare sulla superficie muffe grigio-verdi, che è necessario ripulire prima del consumo. In bocca è cremosa, dal gusto salato e grasso, ma al contempo delicato e fresco, con un retrogusto di burro e yogurt e con una complessità aromatica importante e variabile che va dal miele alla frutta secca.
La più grande produzione di ricotta salata si ha in primavera-estate, ma essendo un prodotto semi-stagionato, può essere consumato per tutto l’anno grattugiato, in particolare sulla pasta. Tra i piatti tradizionali che la contemplano si segnalano in particolare gli strascinati con ricotta salata e sugo di pomodoro.
La ricotta salata si produce in tutto il territorio lucano e in generale nel centro-sud Italia, soprattutto nelle aree montane e collinari, particolarmente vocate alla pastorizia e all’allevamento transumante. Gli animali allevati allo stato brado o semibrado si alimentano delle erbe che la natura offre nelle diverse stagioni, in parte differenti da luogo e luogo, attribuendo al latte degli animali una particolare ricchezza, complessità e varietà di sapori ed aromi. Il momento dell’anno in cui si ottiene la maggiore produzione di latte e quindi dei suoi derivati è il periodo primaverile-estivo, grazie alla grande quantità di erbe sui pascoli. Questo è dunque il periodo migliore per la produzione di ricotta salata che può essere poi conservata e consumata per tutto l’anno.
La ricotta salata si ottiene a partire dal siero di latte vaccino mediante riscaldamento del siero fino ad 83-90°C, temperatura alla quale le proteine del siero flocculano e la ricotta affiora. Attraverso una schiumarola, la ricotta si trasferisce nelle apposite fuscelle di vimini o di plastica di forma tronco-conica, che ne determineranno la forma.
In passato la ricotta così ottenuta era destinata al consumo immediato mentre, aggiungendo del siero inacidito al siero rimasto in caldaia (caccavo), dopo l’ottenimento della prima ricotta di podolica, si otteneva una seconda ricotta più grossolana e meno nobile. In seguito allo sgrondo del siero dalle fuscelle per almeno 24 ore, si procede alla salatura a secco con sale fino ed all’asciugatura, che avviene per almeno un mese in locali freschi e areati. In questo periodo ogni forma viene girata quotidianamente.
La ricotta salata oggi è difficile da trovare in Basilicata, soprattutto nella versione originaria, ed essenzialmente si tratta di ricotta di latte ovino o latte misto (ovicaprino, oppure vaccino ed ovino); ma leggendo i principali testi che trattano del patrimonio caseario lucano degli ultimi due secoli, emerge che, pur essendoci comunque traccia di quella ovina (si veda La "Statistica del Regno di Napoli” del 1811, che nell’elenco dei latticini del circondario di Avigliano riporta: "la ricotta salata di vacca, e di pecora cent. 66"), la ricotta salata di latte vaccino era parte integrante del processo di trasformazione che portava alla produzione del caciocavallo podolico. Era infatti un sottoprodotto successivo alla filatura della pasta, nell’ottica di un’economia contadina che non voleva che andasse perduto nulla. Infatti, più che ottenerla dalla prima ricotta (o fiore di ricotta) rimasta invenduta, che pure non andava persa poiché da essa si ricavava la manteca, la ricotta salata si otteneva dalla seconda ricotta: un prodotto meno nobile che recuperava anche gli ultimi residui caseosi rimasti nel siero dopo la produzione della prima ricotta. A tal proposito Giovanni Salerno, nella conferenza tenutasi durante la Mostra Zootecnica di Lagonegro il 20 settembre 1892, nell’intento di rispondere con dati tecnici all’accusa mossa nei confronti del caciocavallo dagli "Dei maggiori dell’industria agraria" riuniti in giuria all’esposizione universale di Parigi del 1878, nella quale il caciocavallo era definito "il segnacolo delle barbarie delle province meridionali" anche perché ottenuto mediante un "metodo di fabbricazione delapidatore, perché getta il grasso del latte nelle acque bollenti del trattamento". Salerno analizza ogni fase del processo di trasformazione che porta alla produzione del caciocavallo, proprio per verificare "se con l’attuale metodo di fabbricazione, vi è spreco di sostanza grassa, e se questa è veramente gettata con il siero e le acque calde, in pasto ai cani" e, rispetto alla ricotta salata, afferma "Nel primo trattamento del latte, (…) se la cagliata resta un siero o latticello molto ricco di grasso questo è poi separato nel primo fior di ricotta, che va poi ridotto a manteca (…). La seconda ricotta, ottenuta ad alta temperatura, e con un coagulante energico, spoglia il siero di ogni parte caseosa, e non gli lascia che quei sali solubili, che presso a poco restano in esso, con tutti gli altri metodi di fabbricazione". In un altro punto dello stesso testo descrive meglio il processo di produzione della ricotta salata: "Dopo tale, prima fabbricazione di ricotta si passa ad una seconda riscaldando il siero sin quasi all’ebollizione e gettandovi dentro dell’agra (siero inacidito). Si ottiene ricotta dura, d’inferiore qualità e da conservare salata".
Tale descrizione rispecchia quella riportata nella sopracitata Statistica Murattiana del 1811: "Indi si passa di bel nuovo il siero nel caccavo, e riscaldandosi se ne estrae la ricotta che vuol mangiarsi senza sale, e vuol destinarsi al estrarne la manteca, indi vi si versa la così detta acqua acizza per estrarre le ricotte più grossolane, che va a salarsi, quest’acqua non è che del siero ossidato quando la copra".
Dunque, seppure vi sia traccia di ricotta salata ovina in Basilicata, nei principali testi che parlano dei formaggi lucani nell’800 ed inizio ‘900 la ricotta salata è descritta come derivato del processo di produzione del caciocavallo podolico. Poi, con l’industrializzazione delle trasformazioni casearie e l’avvento e la diffusione nelle case del frigorifero, iniziò a diffondersi l’abitudine di usare il burro confezionato che arrivava dalle regioni del Nord Italia, e di conseguenza si ebbe sempre minore richiesta di manteche. Per cui la ricotta salata divenne il metodo di recupero e conservazione della ricotta invenduta e non della seconda ricotta, con conseguente spreco di quelle sostanze rimaste nel siero e non più recuperate.
Con la nascita dei primi caseifici anche in Basilicata, e con la possibilità di trasportare con mezzi refrigerati i prodotti caseari freschi e di conservarli più a lungo nei frigoriferi, la ricotta salata vaccina è quasi scomparsa. È stata favorita la produzione di quella ovina o di latte misto, in quanto la prima ricotta vaccina è di grana molto fine, rispetto a quella ovina che è più grossolana, per cui anche l’asciugatura e la successiva salatura richiedono un tempo e una cura maggiori. Inoltre alla grattugia risulta più morbida.
Della produzione di ricotta salata si occupavano i "vaccari" che seguivano l’allevamento nella transumanza; quando invece la ricotta salata si otteneva dai pochi animali che ciascuna famiglia possedeva essenzialmente per il sostentamento familiare, spesso erano le donne ad occuparsi della produzione e della cura di tale prodotto.
Pochissimi caseifici, soprattutto di piccole dimensioni, continuano a produrre ricotta salata nella stagione primaverile, quando vi è una maggiore abbondanza di ricotta; la produzione è stata conservata essenzialmente dagli allevatori che la producevano quasi solo per uso domestico e per alcuni che erano soliti usarla nelle ricette tradizionali. Negli ultimi anni sta rinascendo l’interesse a questo latticino, non sempre realizzato però secondo la ricetta originaria, anche nei cuochi interessati alla riscoperta di ingredienti tradizionali.

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Territorio

NazioneItalia
Regione

Basilicata

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Categorie

Latticini e formaggi

Segnalato da:Mariantonietta Vaccaro