Il pisello secco di Vitigliano, detto anche “piseddhru quarantinu” o “piseddhru cucìulu”, viene coltivato da generazioni nel territorio di Vitigliano (una frazione di Santa Cesarea Terme).
Il seme ha medie dimensioni, è liscio, di color senape con sfumature verdi e di forma tondeggiante. Il termine “quarantinu” identifica il fatto che la pianta può raggiungere un’altezza massima di 40 cm mentre il termine “cucìulu” vuol dire “di facile cottura” e sta a sottolineare la particolare tenerezza degli stessi e del loro tegumento esterno. Il sapore è piacevolmente dolciastro.
Il prodotto giunge a maturazione nel mese di giugno quando i piselli vengono arrotolati in “rosci”, fasci di forma tondeggiate. La mietitura viene eseguita a mano utilizzando il “farcione”. I “rosci” vengono trasportati in aia ed esposti qualche ora al sole prima di passare alla battitura, la quale consente l’apertura dei baccelli. Al centro dell’aia viene realizzato il “curisciùlu” (dal dialetto “curìscia”, cintura). “U ientulare” (ventilare) consiste nella ulteriore separazione dei piselli dalle ultime impurità sfruttando l’azione del vento. Dopo la ventilazione si realizza la cernita a mano mediante i cosiddetti “farnari occhi tunnu”, setacci in legno e metallo per scartare i piselli troppo piccoli ed eliminare il pulviscolo rimasto. Per una migliore conservazione il prodotto viene sottoposto ad essiccazione mediante esposizione al sole sull’aia per alcuni giorni. In ultimo viene lievemente asciugato nel forno, messo in sacchi di juta perché si raffreddi lentamente, e poi trasportato nei magazzini, dove viene conservato in contenitori asciutti di terracotta (“stangate”).
Il pisello secco di Vitigliano si presta tradizionalmente ad essere cotto in pignatta (un recipiente di terracotta) con cipolla, pomodoro, prezzemolo e sale e si serve ancora caldo con un filo d’olio extra vergine di oliva.
In passato si cucinava "u panicottu" con i piselli avanzati dal giorno prima, utilizzando le friselle o il pane raffermo.