L’argan è simile all’olivo ed esiste soltanto sulla costa meridionale del Marocco, tra Safi (a nord) e Goulimime (a sud), in una zona arida, povera e d’estate caldissima. Da tempo immemorabile l’olio ricavato dalle sue bacche, che maturano tra luglio e agosto, è un ingrediente fondamentale per la cucina dei Berberi, una popolazione semitica già presente nel Nord Africa prima dell’invasione araba avvenuta nel VII secolo d.C. Sono necessari cinquanta chili di frutti (armelline) per produrre mezzo litro di olio; una resa bassissima, a fronte di una lavorazione lunga e laboriosa. Questo spiega perché il prezzo sul mercato – intorno ai 25 euro il litro – è molto più alto di quello dell’olio di oliva. La produzione è compito prevalentemente femminile: di madre in figlia le donne si tramandano saperi e gesti antichi. Con movimenti ripetitivi e rapidissimi e con l’aiuto di un sasso, rompono i gusci duri dei noccioli, estraggono le armelline e poi le tritano. Alla pasta ottenuta aggiungono una piccola quantità di acqua tiepida per facilitare l’estrazione dell’olio quando la miscela sarà pressata in un piccolo mulino casalingo fatto di due pietre rotanti. Il colore dell’olio d’argan è dorato intenso, il sapore è netto, di nocciola, con uno spiccato aroma tostato. Se ne aggiungono poche gocce al termine della cottura del cuscus, nelle tajine di pesce e di carne e nelle crudités. Può essere consumato anche crudo, su una semplice fetta di pane. Unito alle mandorle e al miele, è ingrediente dell’amlou beldi, la crema tradizionale che ancora oggi si offre ai visitatori, assieme al pane e al tè alla menta, come segno di benvenuto. Nelle campagne è usanza dare ai neonati, come primo alimento, poche gocce di questo olio. E poi, con l’argan si idratano la pelle e i capelli, si curano le cicatrici.
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