´Ncantarata è il termine dialettale lucano con cui si identifica la "preparazione della carne di maiale", in particolar modo delle sue estremità quali, orecchie, coda, muso e zampe. Il termine deriva sicuramente dal contenitore di terracotta in cui vengono riposte le frattaglie: “u cuntar”. Il cantàro dal greco kántharos che è l’antico vaso greco e romano caratterizzato da due grandi anse che spesso sormontano l’orlo.
La sua preparazione era diffusa in tutta l’area collinare e montana della Basilicata, ma il termine carne ´ncantarata è utilizzata anche in Calabria e in Puglia per indicare generalmente la carne di suino conservata nel sale.
La ‘ncantarata è una pietanza povera a base di frattaglie di suino: un tipo di preparazione per conservare gli scarti di suino macellato fresco. Gli scarti sono costituiti da cotica e cartilagini con annesse parti di grasso in buona parte edibili derivati da orecchie, coda, muso, zampe e cotenna. Il procedimento per la preparazione della ´ncantarata prevede il lavaggio e la depilazione con fiamma per asportare dalla pelle del suino residui di setole. Successivamente i pezzi di carne devono essere disposti in un vaso in terracotta, alternandoli a strati di sale grosso, alloro, finocchietto selvatico e pparul psat (paprika). Una volta riempito il vaso fino all’orlo si chiude con un pezzo in legno, sopra il quale si pone una pietra che ne garantisca la chiusura, e si ripone in un luogo fresco per una breve stagionatura che va da una settimana a dieci giorni.
Le parti del maiale, ripulite dal sale, sono poi utilizzate per dare sapore alle zuppe, ai sughi per la pasta, alle verdure e ai legumi brasati (cavoli e fagioli) e altre preparazioni, in sostituzione di carni più pregiate o di salumi, destinati ai pasti domenicali o alle occasioni più importanti.
La ‘ncantarata è legata alla macellazione del maiale: un antico rito della cultura contadina. Fino agli anni ’50 e ’60 del secolo scorso i suini erano allevati in modo domestico nelle campagne. La macellazione avveniva in genere tra i mesi di dicembre, gennaio e febbraio che coincidevano con il periodo più freddo dell’anno e al contempo di compiuto accrescimento del maiale. Questa tecnica di conservazione nasce dunque in ambito contadino dall’esigenza di prolungare la conservazione della carne e di usare gli scarti della macellazione rimasti dopo aver realizzato le preparazioni più pregiate. La sua origine è inscindibilmente collegata alle condizioni di povertà dei contadini lucani del passato.
La carne ‘ncantarata è citata nella tradizione dialettale orale. Si racconta infatti una leggenda, presente in varie forme in molte regioni italiane, che racconta un miracolo di San Nicola. Il santo si stava recando al Concilio di Nicea e si fermò in un’osteria dove un oste che aveva compiuto un assassinio di tre fanciulli gli propose una pietanza a base di pesce. San Nicola, al posto del pesce, “vulév a carn ‘ncantarata che stéva int u cantar”. L’oste rispose che era fresca e pertanto non ancora buona da consumare, ma San Nicola insistette per averla e facendosi il segno della croce disse: «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, bambini, ritornate in vita!» Ed ecco che le carni si ricomposero e i bambini saltarono fuori dalle botti.
Oggi questa conserva non viene quasi più prodotta, se non in qualche rarissima eccezione. Si conservano sotto sale altre parti del maiale come le costine e le cotiche, ma non le orecchie, la coda o il muso.