La manteca, detta anche burrino o butirro, è un formaggio a doppia struttura formato da una parte esterna di pasta filata derivante dalla lavorazione del caciocavallo, e da una parte interna di burro ottenuto dalla ricotta del giorno precedente. Il nucleo centrale burroso ha forma sferica di circa 6-8 cm di diametro, mentre alla parte esterna di pasta filata è conferita la classica forma a pera con testina che ricorda una scamorza. La pasta esterna è elastica, liscia, senza occhiature e di colore bianco avorio quando il prodotto è fresco. Con l’asciugatura, invece, diventa più dura e lucida e il colore varia dal giallo paglierino al giallo intenso. Il burro all’interno ha consistenza cremosa ed è di colore giallo paglierino. Il peso varia dai 300 ai 500 grammi. Il sapore è leggermente sapido, dolce, burroso e aromatico. Il profumo è intenso.
Secondo alcuni il nome di questo prodotto deriva dalla parola “manteca” o “mantequilla” che in spagnolo significa burro. Altri lo riconducono al termine latino “mantica”, che indicava la bisaccia utilizzata dagli arabi per contenere il burro. Un tempo si produceva dall’Abruzzo alla Calabria. Attualmente si trova solo in alcune zone della Puglia, del Molise, della Campania, della Calabria (dove è chiamata anche burrino o piticelle) e nella quasi totalità della Basilicata.
La manteca è un prodotto dell’antica tradizione casearia meridionale. La sua produzione è legata alla lavorazione del caciocavallo podolico, quindi la sua produzione è stagionale: da marzo a agosto, periodo in cui le vacche di razza podolica producono più latte. Questo periodo, inoltre, è quello in cui in passato, per evidenti ragioni climatiche e in assenza di sistemi di refrigerazione, era necessario recuperare la ricotta invenduta e conservare il burro senza che irrancidisse, cercando quindi di non esporlo alla luce. Proprio per questa caratteristica, la manteca è un prodotto da tavola che può essere consumato fresco, ma può anche essere stagionato e consumato per tutto l’anno. In passato si consumava prevalentemente nelle fredde sere invernali: si abbrustolivano delle fette di pane sulle quali si spalmava il burro che così liberava il delicato aroma di diacetile. Ovviamente il burro presente all’interno può essere usato in cucina per molteplici ricette. Anche l’involucro esterno di pasta filata viene consumato quando il prodotto è fresco, ma in passato, gli involucri diventati troppo asciutti non erano comunque sprecati: le donne, quando cuocevano il sugo di pomodoro, facevano sciogliere nella pentola gli involucri più duri che diventavano così morbidi e gommosi.
La manteca è particolarmente legata al territorio montano e collinare della Basilicata, dove pascolano i bovini podolici, molti dei quali sono protagonisti nel periodo invernale e primaverile della transumanza verso aree più pianeggianti e soleggiate. Le qualità organolettiche della manteca sono strettamente legate infatti alle specie erbacee presenti sui pascoli.
Tra le lavorazioni legate alla tecnica della pasta filata, quella per ottenere la manteca è la più complessa, e si è soliti dire che “per essere considerato un bravo casaro, occorre saper fare la manteca”. I casari più abili infatti sanno estrarre il grasso a partire dalla ricotta con gesti che da secoli sono tramandati di padre in figlio. Altro momento complesso della lavorazione è quello in cui le sfere di burro fredde devono essere rivestite con la pasta filata a temperature molto alte, evitando di far sciogliere il grasso.
Nella prima fase di lavorazione, la cosiddetta “prima ricotta”, ottenuta dal siero nel giorno precedente, viene sbattuta a mano in un tino di legno. Si aggiunge poi gradualmente l’acqua, inizialmente tiepida, in modo da ottenere la separazione del grasso; in seguito si aggiunge acqua fredda, che consente il rassodamento del grasso e il suo “lavaggio”. Successivamente i cilindretti di burro ottenuti sono “battuti” tra le mani, per rimuovere ogni residuo di siero e di acqua, e, infine, ogni cilindretto è manipolato in modo da conferirgli una forma sferica. Le sfere di burro così ottenute si lasciano solidificare in acqua fredda in attesa di essere rivestite con la pasta di caciocavallo.
La seconda fase di lavorazione prevede la filatura della pasta del caciocavallo, parte della quale viene riservata al rivestimento delle manteche. Si provvede quindi all’inserimento della sfera di burro in un involucro di pasta filata, che si “strozza” in modo simile ad una scamorza, ottenendo la classica forma a pera con testina. La sua permanenza in salamoia è di circa 4-5 ore, dopo le quali si lascia asciugare come il caciocavallo, legata passando uno spago sotto la testina, ed eventualmente si può poi stagionare.
La sua produzione rispondeva, da una parte, all’esigenza di recuperare la ricotta invenduta: in passato non c’era, infatti, la possibilità di vendere i prodotti freschi in mercati che non fossero quelli locali che presentavano un’utenza limitata. Inoltre non c’erano sistemi di refrigerazione che consentissero la conservazione dei latticini per più giorni; dall’altra c’era la necessità di conservare il burro per un periodo che fosse il più lungo possibile, in modo da preservarlo dall’irrancidimento e mantenendolo cremoso e profumato fino al momento dell’utilizzo.
La presenza di questo formaggio in Lucania già nell’Ottocento è attestata dall’elenco di latticini e prodotti della pastorizia del Circondario di Avigliano presente ne “La Statistica del Regno di Napoli nel 1811”. Nello stesso testo lo si distingue anche dal “butirro di latte”, ossia il burro ottenuto dalla panna, la cui produzione appartiene alla tradizione delle regioni del Centro Europa e Nord Italia: “La ricotta il giorno dopo essersi formata si lava in acque fredde di scorrevoli fonti, per tanto finché non lasci comparire delle parti grasse; in forma di sfera si cinge di una corteccia della detta pasta di caciocavalli, e questa chiamasi manteca, o volgarmente butirro; giacché da alcuni accorti vaccari il butirro detto di latte si forma con l’urtare in un vaso di figura conica il fior di latte, o sia la parte ossidata con un bastone che ha un disco all’estremità; questa macchinetta chiamasi cupeto, cupeto dal rumore che fa. Di tal butirro non fassene commercio per non esservi delle grandi città, che ne facciano consumo; ma suol servire al gusto ricercato di qualche proprietario.”
La manteca è descritta anche con particolare apprezzamento da Giovanni Salerno nella sua conferenza “Il caciocavallo e la sua fabbricazione sui monti Pollino”, letta nella mostra Zootecnica di Lagonegro del 1892. Dove si legge “Nel primo trattamento del latte, così intero come si ottiene della mungitura se la cagliata resta un siero o latticello molto ricco di grasso questo è poi separato nel primo fior di ricotta, che va poi ridotto in manteca, la quale ben può dirsi una specie di burro ottenuto a caldo, saporitissimo e delicato egualmente, e forse più, di quello prelevato a freddo.” Nella stessa conferenza, si descrive puntualmente l’intero processo di trasformazione del latte per ottenere il caciocavallo, praticato dai vaccari che si occupavano delle vacche podoliche, insieme a tutti gli altri prodotti tradizionalmente connessi a tale tecnica, tra cui la manteca: “Procede per ultimo alla fabbricazione del burro cotto o manteca. La ricotta tenerissima, preparata nel giorno precedente, e però alquanto inacidita, viene sbattuta con un mestolo, e montata quasi in schiuma. Vi si aggiunge dell’acqua freddissima, la quale vale a rapprendere il grasso che si separa dalla cascina. Il burro così ottenuto, viene poscia lavorato all’acqua fredda, ed alla gramola, e quando è perfetto, viene ridotto in pezzi e chiuso in una teca di caciocavallo, la di cui estremità viene saldata con immersione nell’acqua bollente.”
In passato la quantità di manteche prodotte era certamente maggiore. La manteca oggi non si trova facilmente in commercio anche perché la quantità di latte prodotto dalle bovine di razza podolica è limitata rispetto a quella delle altre razze.
Vi è inoltre il pericolo che, con i cambiamenti delle abitudini alimentari in seguito all’industrializzazione del settore alimentare, l’utilizzo del burro disponibile nella grande distribuzione soppianti definitivamente il consumo di manteca. La produzione e il consumo di burro ottenuto dalla panna ha senso nel centro Europa e nel Nord dell’Italia, dove si ricavano soprattutto dal latte i grassi necessari in cucina. Nel Sud dell’Italia invece, data la grande presenza di olio di oliva, non si aveva l’estrema esigenza di produrre burro dalla panna. Di conseguenza molto grasso andava a finire nel siero e questo permetteva di ottenere una ricotta di maggiore qualità e valore nutritivo. Si riusciva dunque a produrre la manteca, che Giovanni Salerno già nell’Ottocento definiva “saporitissimo e delicato egualmente, e forse più, di quello prelevato a freddo” e che può essere considerato anche più salutare, se si tiene conto del suo minore contenuto in grassi e maggior contenuto proteico rispetto al burro comune.

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Segnalato da: | Caterina Salvia e Mariantonietta Vaccaro |