La Cakile arctica è una sottospecie islandese della famiglia delle Brassicaceae, molto comune sulle coste sabbiose dell’Islanda occidentale e meridionale, che ha contribuito a rendere più salubre la dieta degli islandesi, carente di verdure contenenti vitamina C. Le foglie sono carnose e commestibili così come gli steli e i frutti, simili a fagioli che galleggiano. È stata più o meno abbandonata quando iniziò l’importazione di nuovi vegetali da altri paesi e la coltivazione in serra. Un tempo era molto consumata soprattutto nel sud dell’Islanda dove era conosciuta sotto diversi nomi. "Kál" significa cavolo in islandese, e il fjörukál era usato allo stesso modo dello skarfakál in quei luoghi dove non poteva crescere lo skarfakál per via delle condizioni naturali (nessuna disponibilità di terreno fertile, nessuna scogliera). Il fjörukál ha bisogno dell’acqua salata per crescere, ma non ha un così grande contenuto di vitamina C come lo skarfakál.
È menzionato nei distretti dell’Islanda meridionale, dove la riva è molto sabbiosa dalla metà del XVII secolo, ma ha certamente una storia molto più lunga, come riportato nel libro "Íslenskir Sjávarhættir" di Lúðvík Kristjánsson.
Veniva raccolto all’inizio dell’estate, quando è tenero, e poi fermentato, salato o meno. La pianta è ancora comune ma, come lo skarfakál, è minacciata da piante più invasive usate per fissare le sabbie. Era considerata un cibo dei poveri nel XIX secolo, anche se ha salvato la popolazione del sud dell’Islanda durante la disastrosa eruzione del vulcano Laki nel 1783 che compromise per un lungo periodo l’agricoltura islandese.
Il fjörukál ha un gusto pronunciato di cavolo e veniva usato nelle zuppe e come contorno. Prima si fermentava in acqua calda, il succo veniva mescolato con acqua o siero di latte, e il resto veniva usato nel porridge, con orzo principalmente o con skyr per conservarlo più a lungo.
I giovani cuochi di oggi l’hanno riscoperto e lo usano come verdura, portando nel piatto il sapore dello iodio e il gusto del cavolo – e la vitamina C, anche se lo scorbuto è ormai scomparso.
Il suo valore gastronomico è molto più importante di quanto si riteneva nei secoli passati.