I filindeu significa “fili di dio”: si tratta di una pasta rituale la cui tecnica di produzione è stata conservata da una donna sola in tutta la Sardegna.
L’impasto è fatto con semola di grano duro, acqua e un pizzico di sale. Si lavora la pasta a lungo fino a portarla a una consistenza molto morbida. L’elasticità è fondamentale e si ottiene umidificando l’impasto con dell’acqua salata preparata a parte: impossibile definire il momento esatto in cui è necessario inumidirla, è una sensazione che riconosce solo chi sta lavorando. Quindi si tagliano piccole porzioni di pasta che vengono tirate otto volte con le dita delle mani fino a formare fili sottilissimi, che sono appoggiati in tre strati sovrapposti sopra su fundu, un vassoio di legno (un tempo era fatto di asfodeli). Una volta composto lo strato di pasta si pone ad asciugare al sole: qui, essiccando, diventa una specie di garza e a questo punto è pronto per essere spezzato in tocchi e immerso nel brodo di pecora caldissimo.
Questa pasta tipica della Barbagia, e il brodo in cui viene cotta, sono legati a una tradizione religiosa secolare: quella della festa di San Francesco a Lula. Nella prima settimana di maggio, ai pellegrini ospitati nei ricoveri disposti intorno alla chiesa campestre (le cumbessìas) si serve come piatto il brodo di pecorino e di filindeu.
Grazie alla sapienza artigianale di Paola Abraini, altre donne nel nuorese hanno ricominciato a produrre i filindeu.
