Il nome botanico della Maranta arudinacea deriva dal gruppo indigeno caraibico degli arawak, presso cui era conosciuta col nome di “aru-aru”.
Cresce in varie regioni dell’America Centrale e dei Caraibi.
La radice tuberiforme si sviluppa nel terreno in senso orizzontale, ricoprendosi di chiazze; produce stoloni da cui spuntano le radici avventizie. Le foglie sono alterne, provviste di guaina fogliare lunga e pelosa; produce piccoli fiori bianchi.
La pianta fu portata dal colonnello americano James Walker, nel XIX secolo, dall’isola di Dominica alle Barbados. Da lì arrivò in Jamaica. Il colonnello osservò che le popolazioni caraibiche native utilizzavano la pianta come antidoto per il veleno delle frecce, pressandola e applicandola sulle ferite. Il succo della radice funzionava come antidoto anche contro il veleno ingerito e contro i morsi e le punture di insetti velenosi e serpenti.
La fecola viene estratta dalle radici con un procedimento meccanico realizzato manualmente o per mezzo di macchinari. I tuberi vengono estratti dal terreno, lavati in acqua e poi battuti, fino a ottenere una polpa, in grandi mortai in legno dai bordi larghi e profondi. Poi si sposta la poltiglia a bagno in una tinozza, per rimestarla; la parte fibrosa viene quindi separata manualmente e scartata. La sostanza lattiginosa viene filtrata con un setaccio o un panno grosso e lasciata sedimentare. Una volta drenata l’acqua, sul fondo del recipiente resta depositata una massa bianca che viene nuovamente messa a bagno in acqua pulita e filtrata una seconda volta. Solo a questo punto si ottiene la fecola pura che viene quindi posta ad essiccare al sole.
La fecola, dotata di notevoli proprietà digestive, è usata per produrre una pasta fine o gelatine, prodotti da forno, torte e biscotti, così come per addensare zuppe, salse, sughi e gelati. È un alimento facilmente digeribile e molto nutriente, consigliato per diete leggere e non irritanti, e in particolare per bambini e degenti.
La maranta è oggi un prodotto raramente coltivato alle Barbados, e sono ormai rari i luoghi in cui se ne faccia ancora uso. Una delle ragioni è il graduale cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione locale, che oggi, come prodotti di base, preferisce alimenti come patate, riso o grano.
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