Farrata di Manfredonia

Arca del Gusto
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La farrata è un prodotto da forno tipico di Manfredonia, una specie di panzerotto, farcito di ricotta di pecora, grano bollito (un tempo si usava il farro), maggiorana, pepe e cannella. Ha forma rotonda e diametro di 10- 15 cm. Il peso, in relazione al diametro e alla quantità di farcia, può variare dai 200 ai 300 grammi; vi sono anche pezzature più piccole da 70-80 gr. in tal caso il diametro è di 6-7 cm. È una preparazione da forno che, a cottura ultimata, si presenta di un bel colore dorato, con una patina lucida di superficie, di un tono più caldo, dovuta alle spennellate di rosso d’uovo. Circa la consistenza, la croccantezza della sfoglia si contrappone alla morbidezza della farcia i cui ingredienti non sono emulsionati, ma amalgamati con equilibrio e ben riconoscibili.

Percepita con l’olfatto, appena sfornata, la farrata non ha aromi che dominano su altri, dove l’aroma del cereale e del formaggio acquisisce maggiore personalità grazie alle spezie e agli altri aromi. Le note spiccate e pungenti del pepe e della cannella ben si armonizzano con i sentori di limone e canfora della maggiorana.

Per nulla unta e non eccessivamente sapida, la farrata storicamente era tendenzialmente dolce: il gusto tipico dei carboidrati, dei formaggi freschi e della cannella. Per molti secoli, la farrata era considerata e raccontata, da alcuni, come un dolce tipico dell’area Sipontina. Oggi, va annoverato tra i prodotti salati da forno perché nella farcia prevale il sapido.
Si prepara in inverno e primavera da sempre in tutte le famiglie ma si vende attualmente anche nelle panetterie, nelle pasticcerie e nell pizzerie. È la pietanza simbolo del Carnevale dauno: periodo in cui il consumo e la vendita si intensificano, sia per l’afflusso dei turisti, sia per un dettame locale di buon auspicio: mangiare cioè almeno un farrata tra il Carnevale e la fine della Quaresima.

La prima fase della preparazione consiste nel decorticamento delle cariossidi di grano duro, nella ventilazione dei residui fibrosi, nel lavaggio ripetuto seguito da ammollo per 24 ore circa. A questo punto il grano è pronto per la cottura in acqua, dopo di che si scola e si raffredda.
Nella seconda fase si prepara la farcia miscelando ricotta fresca di pecora, ben scolata, e grano bollito in parti uguali (questo dice la ricetta tradizionale, ma la tendenza è di aumentare la quantità di ricotta, per un risultato più gustoso), aggiungendo maggiorana, cannella, sale e pepe. Il composto si lascia riposare per 30 minuti circa.
Nel terzo passaggio si prepara la pasta con farina di grano tenero 00, acqua e sale. Si lascia riposare per 10 minuti, quindi si ritagliano le sfoglie molto sottili dalla forma circolare. I dischetti inferiori devono essere leggermente più spessi per reggere meglio la farcia. I dischetti superiori invece sono più sottili, al fine di esaltare maggiormente la consistenza e il gusto del ripieno.
Nel quarto passaggio, si pone sul dischetto inferiore un mucchietto di farcia, a seguire una fettina di ricotta, infine una spolverata di cannella. Il tutto è sigillato con il secondo dischetto più sottile, pizzicando sul bordo i due lembi e rivoltandoli all’interno.
Infine, si spennella il fagotto di rosso d’uovo sbattuto.
Si pongono dunque le farrate su una piastra da forno cosparsa di poco olio e farina, si cuociono per circa 20 minuti a 180°C circa.
L’affermazione di questo prodotto a Manfredonia risale a tempi lontani. Fin dal passato il territorio di Manfredonia si contraddistingue per la natura agraria e pastorale oltre che marinara. Dal porto della Vecchia Siponto partivano le navi piene di triticum (frumento: farro e grano) coltivato nella pianura del Tavoliere, tutt’oggi nota come granaio d’Italia. La vocazione pastorale è una costante nel territorio sipontino fin dalla preistoria. Durante il periodo Dauno e Romano sul territorio erano numerosi gli armenti stanziali e anche quelli transumanti. Anche gli imperatori romani mandavano a Siponto le loro greggi per il clima mite e i vasti pascoli.
Con l’istituzione della Dogana della Mena delle Pecore in Capitanata, nel periodo Aragonese (‘400) fino ai primi anni del ‘900, la transumanza ha rappresentato la fonte economica primaria del territorio, oltre ad assicurare ai cittadini di Manfredonia il rifornimento di latte, ricotta e formaggi per gran parte dell’anno. In cambio i pastori transumanti ricevevano il pescato, soprattutto seppie. Si racconta che il periodo delle farrate aveva inizio il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) e terminava il 20 maggio, in coincidenza con la ferma della pesca delle seppie e con il venir meno della ricotta a causa del rientro nelle terre di origine dei pastori transumanti.

Ancora oggi, Manfredonia dispone di una realtà armentizia di pregevole importanza, dislocata nei territori sopraelevati e nella piana circostante, che riesce a rifornire di ricotta la città per tutto il periodo dell’anno, fatta eccezione per i mesi più caldi (luglio, agosto). La maggiorana, aggiunta nel ripieno, fa parte della macchia mediterranea e appartiene alla famiglia dell’origano, ma a Manfredonia passa per menta, infatti viene chiamata mènda majuré selvagge.
Fin dai tempi più remoti, dunque, preparati a base di farro, latte, intero e coagulato, hanno rappresentato la base dell’alimentazione del popolo sipontino. Il farro, dopo essere stato torrefatto e battuto per eliminare le fibre legnose che lo rivestono, veniva bollito in acqua o latte, in contenitori di terracotta adatti al fuoco. Poteva essere cotto sia a chicchi interi, sia macinato grossolanamente nel mortaio che tutti usavano in casa. Il termine farina deriva da “far” ad indicare il farro pestato o frantumato, così come “sfarinato”.

In generale i primi riferimenti alla farrata, come preparato culinario, risalgono all’epoca romana. In Historia Augusta, Vita di Geta (5,8), Giovenale (Satira XI), Aulo Persio Flacco (satira VI) il termine farrata è usato come sostantivo per indicare la pietanza base degli antichi romani: nella versione più semplice ed elementare, una polta di farro bollito nel latte, spesso condita con ricotta ed erbe aromatiche raccolte nei campi. Tale alimento era mangiato dalle classi più umili ed era detto anche farratam, farratum, farinata. I ricchi arricchivano tale pietanza con ingredienti più saporiti (carne, pesce, uova, miele, ecc.). Vi erano quindi diverse varianti di farrate, dolci e salate. La farcia della farrata di Manfredonia è molto vicina alla farrata basica e povera degli antichi romani.

Circa l’aspetto simbolico e sacro, per lungo tempo il farro e i suoi preparati (polte e focacce farrate) sono stati cibi sacri offerti alle divinità. Il libum era una focaccia farrata rituale, non lievitata, che si usava anche come base su cui offrire sacrifici. Non è da escludere che nell’antichità polte farrate fossero offerte agli dei su piccole focacce di farro non lievitate: una sorta di archetipo della farrata sipontina che, nel tempo e per praticità nel consumo e nel trasporto, si è chiusa a fagotto con una sfoglia di copertura.

La farrata, inoltre, appare legata al rito della conferratio (matrimonio patrizio): i nobili romani offrivano a Giove una particolare focaccia farrata come buon auspicio; anche la farrata, fino a qualche decennio fa, era cibo benaugurante per gli sposi.

La traccia più antica della farrata a Manfredonia risale ai “cibari” dei Celestini e delle Clarisse in cui si documenta una preparazione costante nei secoli XVII e XVIII in occasione del Carnevale.

Nella prima metà del ‘900, numerose erano a Manfredonia, le produttrici e le venditrici di farrate che in laboratori, approntati in abitazioni private, si prodigavano per la confezione e la vendita al dettaglio per le strade. Nella seconda metà del ‘900, invece, la vendita minuta avveniva all’alba ad opera dei ragazzi che approvvigionavano i rioni di pertinenza con i loro richiami melodiosi “farréta chiiiiiii ataaaa eh! …chi vole i farréte!!”

Negli ultimi 130 anni circa, Manfredonia ha dedicato numerosi tributi alla farrata ad opera di noti studiosi di storia e tradizioni popolari: omaggi letterari, lirici, musicali, articoli di giornale, cortometraggi, ecc.

Si deve però al lavoro certosino di Franco Rinaldi (cultore di storia e tradizioni popolari di Manfredonia, attore, cabarettista, regista, autore di lavori teatrali in vernacolo) una raccolta di testi, documenti, foto, memoria orale circa le tecniche e gli utensili per la preparazione e il consumo, i costumi, le credenze, i rituali, le soluzioni politiche ed economiche adottate nel tempo.

Oggi, la farrata è indicata nelle guide turistiche ed enogastronomiche, nei molteplici ricettari regionali e nazionali, cartacei ed in rete; è presente nel menù delle Cesarine di Puglia come preparazione tipica della città di Manfredonia.

Rispetto alle altre farrate italiane, la farrata di Manfredonia ha conservato una certa autenticità, con ingredienti ed esecuzione fedeli alla preparazione arcaica; non si è lasciata inquinare da ingredienti di origine moderna, fatta eccezione per la cannella e il pepe, ingredienti arrivati in Italia nella Roma Imperiale e diventate di facile reperimento solo a partire dal Rinascimento.

Pur essendo ancora una preparazione domestica, numerosi sono oggi i consumatori che ricorrono all’acquisto di farrate confezionate presso attività commerciali dedicate. Si sta inoltre perdendo una parte importante della memoria orale, un patrimonio esclusivo ed identitario scarsamente supportato e tutelato da iniziative pubbliche e di settore.
Venendo a mancare sempre più la produzioni casalinghe, che nel passato attivavano l’intera famiglia, si registra un calo del coinvolgimento nella preparazione e nei consumi, soprattutto nelle fasce giovanili, completamente all’oscuro circa l’etimo del nome, la storia, la cultura e i significati connessi agli ingredienti.
Particolare allarme suscitano le iniziative commerciali che propongono alla vendita farrate rivisitate in chiave moderna senza alcuna attenzione alla storicità e alla territorialità degli ingredienti aggiuntivi: al salmone, al gorgonzola e noci, alla salsiccia e friarielli, ecc.

Il rischio è che la farrata tradizionale possa perdere, nel giro di qualche decennio, la sua unicità e divenire qualcosa di completamente altro.

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Territorio

NazioneItalia
Regione

Puglia

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Categorie

Pane e prodotti da forno

Segnalato da:Pasquina Sacco