La cipolla bionda di Santarcangelo, detta anche “cipolla dell’acqua (zvòla da aqua, in dialetto), è di grandi dimensioni (una cipolla può arrivare a pesare un chilo) e forma globosa, è piuttosto acquosa e dolce.
Con questo nome si definisce localmente la varietà precoce di Romagna che, in virtù della tecnica di coltivazione e delle caratteristiche pedoclimatiche del luogo, ha acquisito nel tempo un’identità peculiare.
La cipolla dell’acqua è facilmente deperibile: dal bulbo aperto entra facilmente umidità e la cipolla iniziare rapidamente a germogliare. Dopo il raccolto deve stare al sole ad asciugarsi almeno un mese ed è proprio l’esposizione al sole che conferisce al velo esterno il colore biondo. Dopo quel primo mese, però, va conservata all’ombra e al fresco. Le cipolle sono a questo punto legate in trecce, e durano così fino all’11 novembre, San Martino, giorno in cui, a Santarcangelo di Romagna, si tiene un’amatissima fiera.
La semina della cipolla dell’acqua deve avvenire tra gli ultimi giorni dell’anno vecchio e i primissimi giorni dell’anno nuovo, mentre la raccolta inizia verso giugno-luglio e termina tra fine luglio o addirittura a settembre, se più tardiva. La cipolla è dunque buona per 5-6 mesi.
Per farla durare nel tempo si ricorre a conserve dolci e salate: composte, mostarde, giardiniere.
L’area di coltivazione tradizionale era la zona bassa del torrente Marecchia: soprattutto sulla sponda di Corpolò. Praticamente era coltivata ovunque ci fossero fosse di acqua del Marecchia, compreso appunto il paese di Santarcangelo. Si irrigava facendo scorrere l’acqua dei fossi che si dipartivano dal Marecchia e che erano usati alternativamente, “a tempo” dai coltivatori e dai mugnai, i cui mulini erano numerosi in questa zona fino agli anni ’40.
Tra i solchi di acqua si coltivavano in file le cipolle, ma anche aglio, rape e fagioli.
Esiste un’interessante documentazione che attesta come per secoli l’utilizzo dell’acqua dei fossi sia stato conteso tra mugnai e contadini. Il nome "cipolla dell’acqua" deriva proprio dal fatto che la sua coltivazione ne richiede tantissima.
Per moltissimi abitanti della zona la cipolla ha rappresentato per molto tempo una forma di sostentamento. Gli abitanti di Santarcangelo erano chiamati "cipolloni" ("zvùléun") dai vicini riminesi, proprio perchè famosi per coltivare questa cipolla in grandissime quantità.
La cipolla è legata al paese di Santarcangelo di Romagna, dove è ancora coltivata, consumata e celebrata con iniziative ed eventi. Esiste anche una piccola pubblicazione, "La bionda di Santarcangelo di Romagna: curiosità, informazioni e ricette", curata dal gruppo "Passioninsieme" di Santarcangelo.
Chiaramente l’acqua del Marecchia negli anni è cambiata. Oggi una metà del fiume è addirittura deviata nel cesenate: quell’acqua che una volta alimentava i mulini ora non c’è più. Questa coltivazione tradizionale è stata dunque ostacolata. Oggi la cipolla è ancora irrigata in altri modi, per esempio innaffiandola a pioggia, ma il numero di agricoltori che la coltivano si è ridotto considerevolmente e la sua diffusione è limitatissima.
Un centro di orticoltura – il CRPV di Cesena – ha recuperato il seme e ha avviato un progetto di conservazione.
Uno dei modi più tipici e semplici di consumarla è quello di condirla da cruda – perché non ha un sapore pungente –
con olio extravergine d’oliva, aceto di vino rosso e un po’ di sale grosso, magari mescolata con del radicchio, e gustarla dentro a una piadina calda. Alternativamente si può tagliare a spicchi e cuocerli sulla piastra. E’molto versatile, tanto che si usa in ricette salate e anche dolci.
Il tipico contesto di consumo è informale: quello casalingo o della fiera di paese, ma è anche apprezzata e cucinata in molti ristoranti non solo locali.
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