Ha il muso allungato, il pelo nero e una fascia bianca che cinge tutto il torace e le dà il nome: la Cinta Senese è l’unica razza suina toscana sopravvissuta all’estinzione. Una razza sicuramente molto antica: gli agricoltori più anziani ricordano di averla allevata da sempre ed è ben riconoscibile nell’affresco trecentesco del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti (conservato nella sala della Pace del Palazzo Comunale di Siena). Il Cinto di Lorenzetti, nei secoli, è cambiato: quello attuale è più grande e non ha più le orecchie piccole e dritte, ma riverse sugli occhi. Di sicuro c’è stata l’influenza di altre razze: i frequenti incontri con i cinghiali e con la confinante Maremmana (o Macchiaiola). Inoltre, la Maremma senese per secoli è stata meta e luogo di passaggio di bestiame transumante proveniente dall’Appennino tosco-emiliano, dall’Emilia, dalla Garfagnana, dallo Stato Pontificio e perfino dal Regno di Napoli: ciò ha sicuramente favorito le contaminazioni. Soltanto ai primi del Novecento è stata avviata una selezione della razza che, nel 1934, ha portato alla creazione del primo libro genealogico, tenuto dalla Cattedra ambulante di agricoltura di Siena. Originaria della montagna senese, in particolare dei boschi compresi fra i comuni di Monteriggioni, Siena, Sovicille e Casole, la Cinta oggi continua a essere allevata per lo più in provincia di Siena. Come tutte le vecchie razze è molto rustica, ideale per l’allevamento brado e semibrado: oggi, come un tempo, cresce libera, nei prati, sulle stoppie e nei boschi di querce e lecci, nutrendosi perlopiù di erbe e ghiande. Un elemento importante caratterizza la Cinta Senese: la carne, infatti, è venata di grasso in modo omogeneo, mentre di solito parte magra e parte grassa sono nettamente separate. Per questo è straordinariamente saporita e profumata. Merito del sistema di allevamento (brado o semibrado). Con le varie parti si prepara tutta la gamma dei salumi toscani: lardo, rigatino, gotino (o guanciale), prosciutto, salame, capocollo, e così via. Tutti da accompagnare rigorosamente con pane toscano “sciocco” e da abbinare a rossi toscani tannici e corposi.
Foto: © Michele Spinapolice
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