Sono tipici del versante romagnolo dell’Appennino gli insaccati fatti con le parti ritenute meno pregiate del maiale: lingua, ritagli della gota, cuore e i ritagli della disossatura della testa. Come nella migliore tradizione contadina tutte le parti del maiale sono utilizzate e dalla partitura attenta delle carni i norcini sanno sempre ricavare prodotti eccellenti. A questa tipologia appartiene il ciavàr, salume la cui storia e tradizione viene custodita dagli abitanti delle valli romagnole ma la cui diffusione e consumo arriva fino a Forlì, Cesena, Rimini e altre zone della Romagna. Il nome ciavàr viene spesso sostituito o integrato con quello generico di salsiccia matta, così vengono infatte chiamate le salsicce che si discostano dalla tipologia canonica e che sono espressione del passato di povertà di alcune aree agricole. Il ciavàr ha una forma simile a quella di una salsiccia ma un colore più scuro che cambia di tonalità in base alla varietà e alla tipologia delle carni utilizzate. Il procedimento prevede che carni e frattaglie siano macinate (macinatura media per dimensioni) e impastate con una concia di sale, pepe, aglio . A questo impasto si aggiunge Sangiovese, il vino tipico della regione e poi si impasta il tutto in budello suino. Il vino e l’aglio servono ad ammorbidire il sapore delle carni utilizzate ed esaltano allo stesso tempo le peculiarità di questo insaccato. Il ciavàr viene consumato tutto l’anno, per lo più fresco, cotto sulla griglia o al forno, ma può essere anche leggermente stagionato o conservato sott’olio quando non contiene frattaglie facilmente deperibili.Gli ultimi produttori rimasti si trovano nei comuni di Bagno di Romagna, San Piero in Bagno, Santa Sofia e in poche altre zone delle valli romagnole.
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