I bùsslanéi, o buslânein, sono biscotti secchi a forma di ciambelllina, del peso di 25-30 gr.ciascuno, tipici della provincia di Piacenza, un tempo venduti soprattutto nei giorni di mercato agli angoli delle piazze.
Gli ambulanti, detti "busslanèr", li portavano in sacchi bianchi freschi di bucato e trattenute da un filo a formare collane di pezzature diverse: da 10 o da 20. Sino agli anni ’70 del ‘900 venivano regalati dai padrini ai cresimandi che li portavano a bandoliera. La lavorazione tradizionale è lunghissima e faticosa: Si cominciava a mezzanotte ad impastare farina, burro, poco zucchero, lievito naturaIe (il lievito madre del pane) ed un pizzico di sale.
Si lasciavano lievitare per almeno un ora, poi erano scottati in acqua bolleate, raffreddati in acqua fredda, e infine messi sulle teglie ed infornati nel forno a legna riscaldato con legna di robinia. La cottura durava circa un’ora. Una volta raffreddati, si passava a confezionare le collane che poi venivano messe nei sacchi e all’aba erano pronte per partire per il mercato.
La lavorazione dei bùsslanei assomiglia molto a quella dei taralli, la quale richiede una scottatura in acqua prima della cottura in forno. Questa lavorazione serviva a rendere le ciambelline friabili e al tempo stesso ne consentiva una lunga conservazione. Un tempo venivano proposte in tre varianti: di sola farina di frumento e acqua, oppure di farina e burro (variante detta “da brodo”) o ancora, le più golose, di farina, burro e zucchero. Ai giorni nostri è sopravvissuta solo quest’ultima e la produzione, per altro molto scarsa, è limitata a San Nicolò dove ha luogo la “Fera dei Buslânein” che si tiene nella prima settimana di giugno. In quest’occasione, negli stand si vendono le ciambelline nella loro confezione tradizionale, cioè infilate a formare lunghe collane.
Pare che queste ciambelline fossero già note ai primi del 1300 e che i monaci della Chiesa di San Savino ne facessero omaggio ai canonici della cattedrale.
Si pensa che il nome derivi dal diminutivo di "bùslan" a sua volta derivato dal termine celtico bés ‘mbesolàt oppure dal latino buccellatum, cioè: pane da trasformare in buccelli (piccoli tozzi). Lo storico piacentino Aldo Ambrogio, data la loro comparsa alla seconda metà del 1700 nella parte alta della Val Tidone. Certo è che la "Real Giunta sopra l’Annona", nel 1764, con un "Avviso" emanato vietava tassativamente l’esportazione “fuori dallo Stato di quantità alcuna, sotto qualsivoglia pretesto…. di ciambelle dette volgarmente Bocciolani di Pianello”.
A fine ‘800 i forni erano nel comune di Pecorara e la vendita si faceva ai mercati settimanali di Pianello, Borgonovo, Castel San Giovanni e Piacenza. Successivamente la produzione si è accentrata nella bassa Val Trebbia a Mamago e La Noce.
La lavorazione alquanto impegnativa e lunga è la causa principale della drastica riduzione della produzione. Tranne alcuni artigiani e pasticcerie che mantengono la ricetta tradizionale, la maggior parte propone una tipologia molto simile a biscotti di mezza frolla. A parte la fiera, la diffusione e quindi il consumo sono gradualmente diminuiti con i passaggi generazionali.
La ricetta, tratta dal libro "400 ricette della cucina Piacentina " della studiosa di tradizioni, folklore e cucina piacentine Carmen Artocchini, prevede per 25 ciambelline:
500g. di farina, 100g. di zucchero, 80g. di burro, 120ml di latte o vino bianco, un pizzico di sale, una buccia di limone grattugiata.
Preparazione.
Preparare un impasto con la farina, zucchero, sale, burro fuso e latte. Una volta ottenuto l’impasto lasciarlo riposare ricoperto da una pellicola per circa 30 minuti. Preparare dei filoncini di circa 15cm. e del diametro di circa 2cm. e unirli attorno a un dito formando una ciambellina. A parte fate scaldare, (non bollire), una capiente pentola piena di acqua, immergere le ciambelline per circa un minuto, poi scolarle e lasciarle riposare su di un asciughino per circa un paio di ore. Dopo cuocerle a forno caldo 180° per 15 minuti, abbassare la temperatura a 160° e continuare la cottura per altri 15 minuti.
Croccanti e friabili, profumano di grano, di burro e di limone. In bocca sono suadenti con lievi note burrose e con un gusto dolce moderato. Sono ideali da abbinare alla Malvasia di Candia passita dei Colli Piacentini. L’abbinamento con il vino è anche il loro abbinamento storico, ma sono buonissime anche nel latte.
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