L’Alfenim è un dolce fatto di un impasto di zucchero, acqua e aceto o limone, ammassato manualmente e modellato in forme di animali, figure umane, fiori, frutti ed altri oggetti.
Lo zucchero a l’acqua (in alcune ricette, chiare d’uovo), vengono scaldate sul fuoco fino a far fondere lo zucchero. Durante la cottura, la spuma che affiora in superficie viene ritirata con l’aiuto di una schiumarola per “purificare” lo zucchero. L’aceto o il limone possono essere aggiunti all’inizio o durante una seconda bollitura; al liquido in ebollizione si possono aggiungere piccole quantità di acqua per far scendere la melassa, facilitando l’emersione e il ritiro delle impurità.
Si lascia la melassa sul fuoco a restringere finché non raggiunge il “ponto de bala”, ovvero un grado di cottura per cui, prelevando un po’ di sciroppo e immergendolo in acqua fredda, si rapprende formando una pallina che rimane collosa ma senza sciogliersi. A questo punto si stende la massa su una superficie in pietra o in legno e si lascia raffreddare, all’aria oppure con del ghiaccio o acqua fredda.
La massa viene impastata e lavorata con movimenti precisi e cadenzati, prima con l’aiuto di una spatola e poi a mano, separando e reincorporando il volume steso al resto dell’impasto fino al raggiungimento della testura, consistenza e colore desiderati (lavorandola, la massa acquisisce gradualmente una colorazione biancastra, effetto piuttosto curioso da osservare).
La massa viene ora tagliata a pezzetti che vengono modellati a mano in forme diverse, secondo l’ispirazione del pasticciere o riproducendo figure tradizionali. È necessaria una certa agilità nei movimenti per non “perdere il punto” della massa. Si usa cospargere le mani con del polvilho (fecola di manioca) per modellare le forme più agilmente e proteggere le mani dal calore dell’impasto. Subito dopo, i dolci ancora morbidi vengono disposti sui vassoi foderati e si lasciano seccare.
L’Alfenim ha le sue radici nella tradizione araba di lavorazione e trasformazione dello zucchero diffusasi in Europa, nei territori occupati dai popoli arabi, e poi portata in Brasile dai portoghesi.
Sin da tempi antichi, era comune l’uso di raffigurare personaggi vari in dolci e sculture di zucchero (ingrediente a cui solo le classi più abbienti avevano accesso), destinati alle tavole dei banchetti reali.
Frei Gaspar Frutuoso, nella sua opera Saudades da Terra citata da Camara Cascudo (1983), racconta che un donatore dell’Isola di Madeira inviò a Roma in dono al Sommo Pontefice la riproduzione del Sacro Palácio con tutti i cardinali, rappresentati a grandezza naturale e fatti di Alfenim.
Ancora secondo Casudo (1983), l’Alfenim era molto amato e diffuso in Portogallo tra il XV e il XVI secolo (periodo che coincide con l’introduzione della coltura della canna da zucchero nell’Isola di Madeira). Il dolce, realizzato in forma di colomba, fu introdotto anche nella liturgia cristiana, nei riti e nelle celebrazioni per il Santo Spirito.
Il termine Alfenim deriva dall’arabo Al-fenid, che significa “ciò che è bianco, algido, e per estensione può riferirsi anche a “persona minuta, debole, di corporatura delicata” (Souto Maior, p. 23). Il libro Açúcar del sociologo Gilberto Freyre (Freyre, 1939, p.67) contiene le illustrazioni delle figure in cui più comunemente veniva realizzato il dolce: personaggi umani, fiori, frutti, animali, capi d’abbigliamento e utensili.
Introdotta nel Nord-Est del Brasile già nei primi anni della colonizzazione, la coltivazione della canna da zucchero, che garantiva le risorse economiche per l’espansione e la dominazione del territorio, ebbe un profondo influsso sull’economia e sulla politica della regione. Ma la coltivazione della canna da zucchero, con l’introduzione dei primi macchinari per la lavorazione, l’importazione di manodopera schiava e le strutture sociali derivanti da questa attività, ha anche contribuito a modellare le abitudini della nascente popolazione brasiliana, soprattutto quella Nordestina.
Nel Brasile della canna da zucchero, l’Alfenim diventò un “dolce democratico, accessibile a chiunque in occasione delle feste religiose, venduto nelle strade di tutte le città litoranee e dell’entroterra Nordestino. I fiori e le miniature che decoravano le sofisticate torte nuziali e altri dolci con forme e figure artistiche, erano fatti di Alfenim. (Cascuso, 1998).
La produzione del dolce, diffusa dapprima nella zona litoranea del Nord-Est, si consolidò poi anche nell’interno, negli stati di Rio Grande do Norte, Pernambuco, in alcuni municipi di Alagoas o di Goiás Velho e Pirenópolis (entrambi nella regione di Gioás), specialmente nel periodo di ruralizzazione della popolazione che seguì al declino della produzione aurifera.
Nella città di Goiás, l’arte dell’Alfenim sopravvive ancora oggi attraverso il sapere e le mani di poche persone, come Silvia da Silva Curado e Antônia Martins de Paula, due esperte e note pasticciere.
A Pirenópolis, a cira 120 Km da Brasilia, gli Alfenim sono prodotti nel periodo della Festa do Divino, celebrazione cristiana con manifestazioni tradizionali come i tornei a cavallo e spettacoli folkloristici come alvoradas e congadas, tra gli altri. I dolci prendono il nome di “Verônicas” e vengono modellati realizzando motivi religiosi in stampi di bronzo o di piombo fabbricati artigianalmente con immagini in bassorilievo. Le rifiniture e le decorazioni dei bordi degli stampi sono realizzate con una forchetta o altro utensile. La preparazione dei dolci coinvolge familiari, amici, vicini e la comunità in generale, costituendo una tradizione regionale di quasi due secoli.
Ad Agrestina, municipio dell’entroterra nello stato di Pernambuco, la famiglia Zacarias Santos mantiene in vita la produzione del dolce da sette generazioni, preoccupandosi di tramandarne la ricetta alle altre famiglie della regione. Qui il dolce è immancabile nelle celebrazioni della Festa da Nossa Senhora do Desterra (periodo in cui si producono e vendono grandi quantità di Alfenim), ma lo si può trovare anche nel resto dell’anno, in città o in alcuni comuni della zona, come Bonito, São Joaquim do Monte, Panelas, Cupira e Caruaru. Per i visitatori di Agrestina l’Alfenim incarna il simbolo del luogo, così viene riportato ad amici e parenti come souvenir; la produzione del dolce è stata anche immortalata nel film Ausência, diretto da Uhélio Gonçalves (2014).
Nella città di Assu, nel Seridó Potiguar, l’Alfenim è stato oggetto di una ricerca condotta da Maria das Craças Lima de Franca e Angelo André Azevedo de Medeiros, che hanno tracciato la storia della produzione del dolce nella regione e sottolineato come questa delizia oggi stia rischiando di scomparire.
Nella città di Agrestina e dintorni, sopravvive la vendita informale del dolce solo in alcune occasioni e luoghi di vendita specifici. Nella maggior parte delle località, la vendita risulta sporadica se non inesistente.
Anticamente diffuso e reperibile nei mercati, negozi specializzati e nei periodi di celebrazioni religiose e feste popolari, oggi l’Alfenim è un prodotto a rischio di sparizione.
Una delle ragioni principali è la preparazione laboriosa del dolce, che esige tutta l’esperienza necessaria a riconoscere il punto esatto di cottura per iniziare la lavorazione, oltre che delicatezza e precisione estreme per modellare rapidamente la massa che scotta le mani. Le rare persone ancora depositarie di questa tradizione sono prevalentemente anziani, e le nuove generazioni, quando non ignorano completamente il prodotto, non ne hanno che un ricordo sbiadito.
Tuttavia l’Alfenim fa parte della cultura gastronomica del Nordest brasiliano, e preservarlo significa garantire la continuità e la trasmissione di un sapere popolare che connette popoli e tradizioni nel corso dei secoli; ma significa anche restituire dignità ai prodotti artigianali della regione, legati alla memoria delle comunità e dei territori.
Açúcar e água (em algumas receitas clara de ovo) são levados ao fogo para derreter. Durante a fervura, a espuma que aflora à superfície é retirada com a ajuda de uma escumadeira, processo que visa “limpar” o açúcar. O limão ou vinagre são adicionados no início ou em uma segunda fervura, e pequenas quantidades de água podem ser acrescentadas ao líquido em ebulição para “baixar” o melado e facilitar a retirada das impurezas.
O melado permanece no fogo para “apurar” e chegar ao “ponto de bala”, e então é despejado em uma superfície de pedra ou madeira onde esfria naturalmente ou com a ajuda de gelo e água fria.
A massa é manuseada e trabalhada com movimentos precisos e cadenciados, inicialmente com a ajuda de uma espátula e depois com as mãos, esticando e reincorporando o volume estendido à massa, até adquirir a textura, consistência e coloração desejada (com a manipulação, a massa adquire gradualmente coloração esbranquiçada, efeito bastante curioso e interessante de se observar).
A partir daí, é cortada em pequenos pedaços, modelados manualmente com formatos que seguem à inspiração do doceiro ou repetem formas tradicionais. É necessário trabalhar com bastante agilidade para não “perder o ponto” da massa. É comum utilizar goma seca (polvilho) nas mãos para facilitar a modelagem e proteger levemente contra o calor da massa. Em seguida, os doces delicados são dispostos em tabuleiros forrados, onde permanecem até terminarem de secar.
O Alfenim tem origem na tradição árabe de manipulação e transformação do açúcar, levada até a Europa nos territórios ocupados por estes povos e trazida ao Brasil através da influência portuguesa.
Desde a Antiguidade, era comum a presença de doces e esculturas feitas com açúcar (ingrediente ainda restrito às classes abastadas) na decoração das mesas dos banquetes reais, além do hábito de presentear pessoas distintas com doces desta tipologia.
Frei Gaspar Frutuoso, na sua obra Saudades da Terra, citado por Camara Cascudo (1983), relata que um donatário da Ilha da Madeira enviou à Roma, em oferta ao Sumo Pontífice, a reprodução do Sacro Palácio com a figura de todos os Cardeais completamente construídos com alfenim, em tamanho notável, com a “estatura de um homem".
Ainda segundo Cascudo (1983), o doce constituía uma iguaria muito popular em Portugal entre os séculos XV e XVI (período que coincide com a introdução da cultura da cana de açúcar na Ilha da Madeira). O doce também foi incorporado pela liturgia cristã e, preparado em formato de pombas, aparecem em rituais e celebrações dedicadas ao Espírito Santo.
O termo alfenim deriva do árabe "Al-fenid", que significa aquilo que é branco, alvo e, por extensão, pode se referir a uma "pessoa delicada, franzina, de compleição débil" (Souto Maior, p.23). O sociólogo Gilberto Freyre, no seu livro "Açúcar" (Freyre, 1939, p.67) publicou em forma de ilustrações, os formatos mais comuns que se aplicam a esse doce, como figuras humanas, flores, frutos, animais e objetos de vestuário e utilitários.
Introduzida no Nordeste brasileiro já nos primeiros anos da colonização, o cultivo da cana-de-açúcar influenciou profundamente a economia e a política na região, fornecendo o suporte econômico para a expansão e dominação do território. Mas também, a cultura do açúcar, com a implantação dos engenhos, a importação de mão de obra escrava e as estruturas sociais que derivaram desta atividade, ajudaram a moldar os hábitos da nascente população brasileira e, sobretudo, nordestina.
No Brasil açucareiro, o doce se tornou uma “gulodice democrática, exposto ao público em dia de festas religiosas e vendido nas ruas, em todas as cidades do litoral e do interior, no Nordeste. As flores e as figurinhas que enfeitavam os complicados bolos-de-noiva e outros com pretensões artísticas eram feitas em ponto de alfenim”. (Cascudo, 1998).
A produção do doce, antes difusa em grande parte do litoral nordestino, posteriormente parece ter se consolidado no interior dos estados do Rio Grande do Norte, Pernambuco, alguns municípios de Alagoas e na região de Goiás Velho (GO) e Pirenópolis (GO), sobretudo no período de “ruralização” da população que sucedeu o declínio da produção aurífera.
Na cidade de Goiás, a arte de produção de alfenins sobrevive ainda através das mãos de poucas pessoas, como Silvia da Silva Curado e Antônia Martins de Paula, duas habilidosas e conhecidas doceiras.
Em Pirenópolis, cidade localizada a cerca de 120 km de Brasília, os alfenins são produzidos no período de comemoração da Festa do Divino, celebração cristã que reúne manifestações tradicionais como cavalhadas, folias de rei, alvoradas, congadas, entre outras. Os doces recebem o nome de "verônicas" e são estampados com motivos religiosos utilizando moldes de bronze ou chumbo fabricados artesanalmente com imagens em baixo relevo. O acabamento e decoração das bordas que extrapolam o molde redondo são feitos utilizando um garfo ou outro instrumento. A preparação dos doces envolve familiares, amigos, vizinhos e comunidade em geral e representa uma tradição de quase dois séculos na região.
Em Agrestina, interior de Pernambuco, a família Zacarias Santos mantém a produção do doce no município há sete gerações e é responsável por repassar a receita para outras famílias da região. O doce é presença indispensável na Festa de Nossa Senhora do Desterro (durante a qual uma grande quantidade é produzida e comercializada), mas pode ser encontrado durante todo o ano na cidade e em alguns municípios vizinhos (como Bonito, São Joaquim do Monte, Panelas, Cupira e Caruaru). Constitui uma lembrança típica de quem visita Agrestina, comumente levada como presente para amigos e familiares e teve sua produção retratada no filme “Ausência”, dirigido por Uhélio Gonçalves (2014).
Na cidade de Assu, no Seridó Potiguar, o Alfenim foi tema de uma pesquisa conduzida por Maria das Graças Lima de França e Angelo André Azevedo de Medeiros, que traçam o histórico da produção do doce na região e apontam para o risco de extinção da iguaria.
Nas cidades de Agrestina (PE) e mediações ainda persiste a venda informal dos doces em algumas ocasiões e pontos comerciais específicos. Nas demais localidades a venda é bastante esporádica ou inexistente.
Encontrado antigamente em feiras livres, casas comerciais especializadas e durante celebrações religiosas e festas populares, hoje o Alfenim é um produto em risco de desaparecimento.
Um dos principais motivos é a preparação trabalhosa do doce, que exige experiência para conhecer o ponto exato da calda, delicadeza e precisão para modelar com velocidade a massa quente que machuca as mãos. As poucas pessoas que ainda conservam esta tradição são predominantemente idosas e as novas gerações desconhecem completamente o produto ou possuem lembrança vaga.
Todavia, o doce faz parte da cultura gastronômica do Nordeste e do Brasil e preservá-lo significa garantir a continuidade de um saber popular que liga diversos povos e tradições ao longo da história. Também significa restituir dignidade à produtos regionais artesanais ligados à memória de comunidades e territórios.