Secondo Slow Food un prodotto è tradizionale se appartiene alla memoria collettiva e alla cultura di una comunità. Se il saper fare per coltivarlo, trasformarlo, consumarlo è stato tramandato di generazione in generazione.
Lo si può scoprire interrogando i produttori più anziani della comunità e chiedendo loro se quel prodotto era già coltivato o trasformato dai loro genitori e dai loro nonni. Non basta una testimonianza. Bisogna verificare che si tratti di una memoria condivisa. Possono venirci in aiuto alcuni indizi. Quel prodotto ha lasciato tracce nell’artigianato locale? Esistono strumenti artigianali (di legno, di rame, di pietra, di giunco…) fatti apposti per lavorare o conservare quel particolare formaggio? O per raccogliere ed essiccare quel frutto? Esistono mortai e cesti per contenere quel cereale? O ancora: ci sono tracce nella lingua, nel dialetto, nelle canzoni popolari? Il prodotto ha influenzato l’architettura locale? Ci sono vecchi mulini, piccoli caseifici di pietra aggrappati sulle montagne, muretti a secco?
Oltre agli anziani, gli interlocutori ideali sono le donne, i cuochi, i giornalisti che si occupano di gastronomia, i tecnici (agronomi, veterinari, tecnologi alimentari, ecc.). E poi è importante cercare la bibliografia disponibile: esistono libri di ricette? Testi sulle sagre e le tradizioni locali? Cataloghi di prodotti?
Il controllo incrociato delle informazioni raccolte, attraverso il coinvolgimento del maggior numero di soggetti, è un passo fondamentale.